La migliore biografia mai edita di Silvio Berlusconi é sparita dal web. L'autore che si firma Primula Rossa racconta fatti e circostanze che influenzano tuttora la vita della nostra nazione attraverso la storia di un uomo e della sua famiglia puntualizzando sugli eventi con qualche considerazione personale ma senza comunque perdere la necessaria obiettività. Ho voluto riproporre il testo completo sperando di non fare alcun torto all'autore per tentare di non pedere la memoria storica svanente nel revisionismo e nella censura di regime.
BANCA RASINI E DINTORNI
Di Luigi Berlusconi, nato a Saronno nel 1908 e deceduto a Milano nel 1989, viene genericamente detto che lavorò per tutta la sua vita lavorativa alla Banca Rasini. In verità, essendo
“Facciamo un po’ di conti: sono nato nel 1936 e avevo dunque sei anni quando la guerra entrò, disastrosamente, nella nostra vita quotidiana. Poi arrivò il 1943, la grande crisi, la caduta del fascismo, l’8 settembre, i tedeschi, la paura, i bombardamenti. Mio padre era militare al momento della disfatta. I tedeschi avevano iniziato la caccia al soldato italiano, e lui si fece convincere da alcuni suoi amici a riparare con loro in Svizzera. Fece la scelta giusta. Salvò la sua vita e salvò il futuro di tutti noi. Per questa lontananza lui soffrì molto, mia madre soffrì molto. Per me fu uno struggimento devastante, il chiodo fisso dei miei pensieri: papà, il mio papà. Mia madre si era trovata con due figli piccoli e il peso di due anziani: suo padre e la mamma di mio padre, che manteneva con il proprio lavoro di segretaria alla Pirelli a Milano. Tutti i giorni doveva arrivare in ufficio molto presto, cosa che la costringeva ad alzarsi alle cinque per prendere la corriera che la portava a Lomazzo, dove trovava il treno delle Ferrovie Nord per piazzale Cadorna a Milano. Da lì a piedi fino alla Pirelli. Alla sera cammino inverso, nel buio. La sua vita era così: ogni giorno avanti e indietro su quella strada, prima con la mia sorellina nella pancia, e poi di fretta alla sera per tornare ad allattarla. E con un ricordo indimenticabile. Quello di vedersi un mitra piantato sul petto e la quasi certezza di lasciarci la pelle. Accadde quando in treno impedì ad un ufficiale delle SS di portar via una signora ebrea destinata al campo di sterminio. Tutti erano paralizzati dalla paura, ma non mia madre. Afferrò per il bavero l’ufficiale tedesco e si mise a gridare: “Vai via, dì che non l’hai trovata e vattene di qui”. Il tedesco incredulo le dette uno spintone facendola cadere e le puntò addosso il fucile: “Zitta tu, o ti ammazzo”. Ma lei ebbe il fegato di continuare: “Guardati in giro: se mi spari, tu da questa carrozza non scendi vivo”. Allora quello si guardò intorno e vide tutte quelle facce spaventate che erano diventate minacciose, che non si sentivano di lasciare sola una donna con una grande pancia, piccola di corpo ma grande di spirito, che metteva in gioco la sua vita per salvarne un’altra. Il tedesco diventò paonazzo, strinse il dito sul grilletto, ebbe un attimo di esitazione e poi se ne andò. Il treno ripartì, mia madre aveva vinto, ma la tensione, lo spavento la stremarono e l’ultima parte della sua gravidanza ne risentì. Ma seguitò a fare il suo dovere sia in ufficio che a casa….Quando la guerra fini, e cominciarono a tornare tutti quei padri, zii e fratelli che si erano sottratti ai rastrellamenti tedeschi e alla deportazione in un campo di lavoro o nei lager, per me iniziò invece un altro periodo di apprensione e di attesa. Andavo ogni giorno ad aspettare il trenino che veniva da Como. Lì arrivavano i rifugiati che tornavano dalla Svizzera. Tornavano in tanti, ma non mio padre. Per un mese ci andai tutti i giorni. Mi arrampicavano su un paracarro che era il mio posto di osservazione. Poi, dopo tante attese a vuoto, cominciai a stare più lontano. No, non era soltanto pudore, era delusione, era dolore. Volevo poter piangere senza dare a nessuno lo spettacolo delle mie lacrime. Perché il treno se ne andava via e mio padre non c’era. Poi un giorno arrivò. Lo riconobbi da lontano, ebbi un tuffo al cuore, mi scattarono le gambe e con una corsa sfrenata piombai tra le sue braccia. Molti altri bambini non rividero più il loro padre e io fui fortunato. Quel momento mi è rimasto nella memoria come quello più straziante e più felice della mia vita”.
Ci limitiamo a poche osservazioni a questo racconto così melenso, lacrimevole, commovente e struggente, tanto che il libro Cuore sembra un racconto di sesso e violenza. Su tutto un domanda: ma mamma Rosa è stata almeno a casa quando ha partorito? Ci ricorda la bambina che, su Mussolini, chiese alla madre: “Ma il Duce quando dorme?”. Sull’intervento della madre con l’ufficiale tedesco bisogna osservare che avrebbe persino un senso se quello fosse stato solo un militare tedesco. Ma quello era un SS, per il quale la vita umana non aveva molto senso, figurarsi per una donna incinta e passeggeri spaventati (che diventano “truci”). Sulla gente che non tornava dalla Svizzera, lasciando i figli in lacrime, sarebbe da osservare che quelli che sono andati in Svizzera ci sono andati o da rifugiati o fuggiti per non essere presi dai tedeschi, ma anche per non andare con i partigiani. Per cui le lacrime le potevano spargere i figli e le mogli di quelli morti nei campi di concentramento o combattendo contro i tedeschi, non quelli rifugiatisi in Svizzera. Quanto alla “scelta giusta” del padre di andare, o scappare, in Svizzera, ci limitiamo ad un semplice raccontino di uno sconosciuto scritto dopo la lettura di tanto lacrimevole racconto, che rende molto bene la “scelta giusta”. Eccolo:
“Un vecchio e un bambino si presero per mano, e andarono in un prato pieno di croci. “Belle queste croci bianche”, disse il figlio. “Sono soldati che attraversarono l’oceano per difendere la nostra libertà”, rispose il padre. “Come te?”, chiese il figlio. “No figliolo, è diverso, io ho attraversato i monti e mi sono imboscato in Svizzera”. “Ma papà, perché non sei rimasto anche tu a difendere la nostra libertà?”, incalzò il figlio. “Per chi mi hai preso, per un comunista?”, replicò sdegnato il padre. Il figlio non chiese più niente”. Ma assimilò molto bene, diciamo noi.
Padre severo, ma affettuoso e poi amico e consigliere, Luigi Berlusconi è una presenza centrale nella vita di Silvio. Nato a Saronno nel 1908 e trasferitosi giovanissimo a Milano, Luigi viene assunto come semplice impiegato alla Banca Rasini, ma inizia subito a far carriera. Il titolare, Carlo Rasini, lo ricordava come “un collaboratore fedelissimo, di una dedizione assoluta. Prima di dare agli impiegati una matita nuova si faceva restituire il mozzicone di quella vecchia, spegneva le luci superflue. Altri tempi”. Luigi andrà in pensione come Direttore Generale dell’Istituto di Credito, Procuratore con potere di firma, ma non cesserà di lavorare; iniziò subito a seguire le attività delle società del figlio, quell’Edilnord che firmerà Milano 2 e Milano 3. Sin dagli inizi papà Berlusconi ha creduto fermamente nelle idee del suo ragazzo tanto da affidargli come capitale iniziale della sua prima società l’intera sua liquidazione, e aiutandolo ad ottenere gli altri finanziamenti necessari, curando i bilanci delle sue prime società e consigliandolo con la sua lunga esperienza. Questo ancora dal racconto del figliolo Silvio. Ma qui ci fermiamo, visto che qualcosa non quadra.
Ragioniamo.
La prima volta che
Il 29 settembre
Qualche parola la meritano certamente le due misteriose finanziarie svizzere dai nomi lunghissimi che eviteremo, se non per necessità, di riscrivere. Misteriose decisamente tanto, ma qualcosa possiamo sapere. Le due finanziarie sono rappresentate dall’avvocato ticinese Renzo Rezzonico, un avvocato d’affari votato al più ferreo segreto professionale. Le due finanziarie elvetiche risultano controllate dalla Discount Bank Overseas Limited, società con sede a Tel Aviv e filiali anche a Lugano, Ginevra e Milano.
Il 7 ottobre 1968, pochi giorni dopo la costituzione della Edilnord Centri Residenziali sas di Lidia Borsani & C.,
Restiamo ancora in zona Svizzera. Il 2 febbraio 1973 nasce a Milano la società svizzera Italcantieri srl. I soci sono due finanziarie di diritto elvetico:
Costituita a Lugano il 21 dicembre 1972, poche settimane prima, ma guarda, della Italcantieri srl,
Dopo questa digressione svizzera niente male, dimostrante la tortuosità dei giri di denaro alquanto poco pulito, torniamo per ora in Italia, torniamo dalla Banca Rasini, che nel 1970 vede aumentare il peso dei palermitani: Dario Azzaletto, il giovane figlio di Giuseppe, diviene socio della banca. Sempre nel 1970 il procuratore della banca Luigi Berlusconi ratifica una operazione di peso nella storia della Rasini: l’acquisizione da parte della banca di una quota della Brittener Anstalt, una società di Nassau legata alla Cisalpina Overseas Nassau Bank, nel cui consiglio di amministrazione figurano nomi niente male: Roberto Calvi, Licio Gelli, Michele Sindona e il cardinale Marcinkus della banca vaticana dello Ior. Tutte gente che diventerà famosa per vari motivi: per il crack dell’Ambrosiano, della Italcasse, per la lista dei 500 esportatori di valuta, per la successiva lista dei 962 della loggia P2, e per un “suicidio” sotto il ponte dei Frati Neri sul Tamigi a Londra.
Nel 1973
Il 1973 è anche l’anno in cui il figliolo di Luigi, Silvio, acquista quella che diventerà villa San Martino ad Arcore. E’ un acquisto che dire chiacchierato è piuttosto poco. Diciamo solo che dimostra che “brave” persone c’erano in mezzo. Annamaria Casati Stampa è l’ereditiera minorenne di villa Casati, rimasta orfana nel 70 per via di un tragico fatto di sangue in famiglia: il padre aveva ammazzato la moglie e l’amante per poi suicidarsi. Tutore della ragazza è il senatore liberale Giorgio Bergamasco, ma pro tutore, agli effetti quello che maneggiava tutto, è, incredibile, l’avvocato Cesare Previti che, altrettanto incredibile, assiste Silvio Berlusconi. Un classico conflitto di interessi. La favolosa villa, un parco da un milione di metri quadrati, campi da tennis, maneggio, scuderie, due piscine, centinaia di ettari di terreno, quadri d’autori, con annessi e connessi, viene acquistata al modico, nel vero senso della parola, prezzo di 500 milioni di lire, a fronte di una valutazione di svariati miliardi. Si badi bene che “la somma di 500 milioni è il valore della sola Via Crucis del Luini in 14 quadri”. Ma l’acquisto avviene non in denaro, bensì in titoli di alcune società immobiliari non quotate in borsa. Quando la ragazza dal Brasile cercherà di monetizzare i titoli, si troverà con un mucchio di carta. Berlusconi e il suo avvocato, pro tutore della poverina, ricompreranno le azioni, ma a metà prezzo: 250 milioni! Questa, però, è solo una sintesi di un racconto che sarebbe molto lungo, anche perché tutta la trafila, o truffa per essere più precisi, è durata svariati anni. Silvio Berlusconi prenderà possesso di villa Casati nel 1974 ma, grazie ai maneggiamenti del suo avvocato Cesare Previti, che “curava” pure gli interessi della Casati, il passaggio di proprietà non avvenne che il 2 ottobre 1980, quando finalmente venne sottoscritto il rogito per la villa di Arcore e circostanti terreni. L’atto di compravendita venne repertato al n° 36119 del notaio milanese Guido Roveda. Per quasi sette anni Silvio Berlusconi ha disposto come voluto della nuova proprietà, pur non essendone il proprietario se non fino alla firma su citata. In questi quasi sette anni le tasse sulla casa sono state tutte regolarmente pagate da Annamaria Casati Stampa su gentile “consiglio” di Previti. Poi finalmente la ragazza ha capito con chi ha avuto a che fare. Una sentenza del Tribunale di Roma nel
Ma la truffa non si ferma qui. Lo stesso 2 ottobre 1980 il notaio Roveda autentica anche un secondo atto di compravendita, che riguarda tutti i superstiti possedimenti terrieri di Arcore dei Casati Stampa non compresi nel primo rogito. Questi possedimenti vengono ceduti sottoforma di permuta ad una società del gruppo Fininvest,
La società Infrastrutture Immobiliari era stata costituita a Roma il 30 dicembre 1977, e nel 1978
Ma il 1973 dovrebbe essere anche l’anno in cui Luigi Berlusconi smette di lavorare per
Nel 1974 nasce
L’arrivo di Mangano a Villa San Martino era avvenuto in un clima pesante per gli imprenditori milanesi. Lo stesso Silvio Berlusconi, oltre ai progetti di rapimento del padre Luigi e alle minacce di sequestro del figlio Pier Silvio, aveva subito anche un attentato: una bomba contro la sede delle sue società, l’ex villa Borletti di via Rovani a Milano. I pericoli però spariscono con l’arrivo di Mangano. Il che fa pensare che quanto poi raccontato sui motivi che portarono all’ingaggio di Mangano non sia proprio vero. Anzi, sicuramente non vero.
Francesco Di Carlo, capo della potente famiglia di Altofonte, poi espulso da Cosa Nostra con l’accusa di aver imbrogliato gli amici fingendo il sequestro di una partita di droga, riparato a Londra, mafioso pentito, racconta di aver conosciuto Dell’Utri perché “Cinà me lo presentò in un bar di via Libertà a Palermo, a metà degli anni 70. Qualche mese dopo rividi Dell’Utri a Milano. In un ufficio di via Larga di proprietà di alcuni nostri amici incontrai Cinà, Mimmo Teresi e Stefano Bontade. Quel giorno erano particolarmente eleganti. Io domandai il perché e loro mi risposero che dovevano andare da un grosso industriale milanese amico di Cinà e Dell’Utri, e mi proposero di seguirli”. Secondo il racconto di Di Carlo, i quattro si recano nella sede dell’Edilnord dove incontrano Berlusconi e Dell’Utri. Parla Bontade: “Dottore, lei da questo momento può smettere di preoccuparsi. Garantisco io…Perché piuttosto non pensa ad investire nella nostra bellissima isola? Da noi c’è tanto da costruire”. E Berlusconi: “Vorrei, vorrei, …Ma sa, già qui al nord ci sono tanti siciliani che non mi lasciano tranquillo…”. Bontade: “La capisco, ma adesso è tutto diverso. Lei ha già al suo fianco Dell’Utri, io le manderò qualcuno che le eviterà qualsiasi problema con quei siciliani”. Berlusconi: “Non so come sdebitarmi, resto a sua disposizione per qualsiasi cosa”. E Bontade: “Anche noi siamo a sua disposizione. Se c’è un problema basta che ne parli con Dell’Utri”. E fu dopo questo incontro che arrivò Vittorio Mangano. Questo secondo il racconto del pentito Di Carlo che, visto anche quanto sopra, non crediamo proprio abbia raccontato balle.
Il fatto è che Mangano non avrebbe fatto solo lo stalliere, come pure l’amministratore, ma anche il furbetto nel suo soggiorno a villa San Martino, organizzando estorsioni, anche ai danni di Berlusconi, e progettando addirittura sequestri ai danni degli ospiti del suo nuovo padrone. Così racconta un altro pentito, Salvatore Cocuzza, successore di Mangano alla guida del clan di Porta Nuova, e suo compagno di cella dal 1983 al 1990. Sempre secondo Cocuzza, Berlusconi si rivolse a Cinà per trattare direttamente con Bontade e Teresi e “raggiunse con loro un accordo per il versamento di una tangente di 50 milioni l’anno. La stessa cifra che veniva prima versata a Mangano”. E così Mangano venne liquidato dalla ditta Berlusconi. I motivi dell’allontanamento di Mangano vanno a quadrare con le stesse dichiarazioni di Berlusconi e Dell’Utri, che lo motivarono con i tentativi di sequestro. Anzi, ci fu persino una bombetta,, un “rozzo ordigno, poca roba”, vicino al cancello della sua villa, e in una telefonata con Dell’Utri, il cui telefono era sotto controllo dell’antimafia, Berlusconi aveva attribuito “l’avvertimento” allo stesso Mangano, ridendoci sguaiatamente sopra con l’amico Marcello, dicendo che “un altro avrebbe mandato una raccomandata, lui una bomba…è perché non sa scrivere”.
In considerazione che Berlusconi ha necessità di una società di comodo per alcune operazioni immobiliari (un’altra, diciamo), un suo stretto e fedelissimo collaboratore, Romano Comincioli, fonda il 15 aprile 1976, insieme con Maria Luisa Bosco,
Flavio Carboni è sardo, conosce il territorio dell’isola,e agisce secondo uno schema molto semplice: accaparrato un terreno agricolo si attiva per mutarne la destinazione in terreno edificabile, duplicandone il valore di mercato. Berlusconi, tramite il paravento Comincioli, concede a Carboni cospicui finanziamenti, in cambio dei quali Carboni coinvolge Comincioli-Berlusconi in numerose operazioni immobiliari. Pur non disdegnando altre località, la zona prevalente è la costa quasi vergine nel nord della Sardegna, tra Olbia e Porto Rotondo. Proprio nella zona di Porto Rotondo Carboni acquista un lotto dalla famiglia del giornalista Jas Gawronski,
Al duo Carboni-Comincioli (che è poi Berlusconi) si aggiunge Fiorenzo Ravello, Costui è un italiano residente in Svizzera che il 17 ottobre 1973 promuove la costituzione a Tempio Pausania (Sassari) della società Punta Volpe spa. A questa società Ravello intesta i beni che lui stessi amministra e rappresenta a Porto Rotondo e nel Comune di Olbia, per poi trasferire la società a Trieste, dove contemporaneamente vengono costituite altre dieci nuove società per azioni. A Trieste ha già sede
Di quella operazione ci interessa la destinazione finale delle singole società e le relative proprietà immobiliari. Tre di esse transitano per
Nel 1975 la situazione economica di Carboni, secondo il suo segretario Emilio Pellicani, si fa disperata, creando preoccupazione nei suoi partner. Un incontro verso la fine di settembre all’Hotel Gritti di Venezia con Ravello, Locatelli e Calducci, che avevano tentato un piano di salvataggio, fallisce. Carboni è costretto a cercare altri finanziatori, e trovando in Comincioli grande disponibilità, associa il prestanome di Berlusconi ai suoi affari. Nel 1977 Ravello, coinvolto nello scandalo Italcasse-Caltagirone in quanto membro del cda della società Flaminia nuova, decide di ritirarsi definitivamente in Svizzera, liberandosi della propria parte del patrimonio sardo, quello delle 12 sorelle: l’acquirente è Comincioli, cioè Silvio Berlusconi.
Durante la gestione Comincioli della Prato Verde, nel periodo febbraio-marzo 1978, Carboni entra in affari con esponenti di Cosa Nostra. Tramite i malavitosi Calducci e Diotallevi, Carboni concorda con un gruppo di mafiosi l’esecuzione di lavori di risanamento nel centro storico di Siracusa, e ottiene un anticipo di 450 milioni. L’affare non va in porto per l’opposizione della Regione Sicilia. A quel punto i committenti siciliani, Luigi Falcetta, Lorenzo Di Gesù, Gaetano Sansone, Antonio Rotolo e un certo Mario, che altri non era che Pippo Calò, pretendono la restituzione di 450 milioni anticipati e 250 milioni di interessi. Carboni salda il debito attraverso cambiali per 700 milioni emesse dalla società Elbis di Milano a favore di Romano Comincioli, e da questi girate. Nella Elbis srl, società costituita il 12 dicembre 1969 dal messinese Antonino Franciò e da alcuni prestanome di Berlusconi, Carboni è entrato da poco portando 138 milioni.
Tra l’aprile e il maggio 1978 i rapporti tra il prestanone di Berlusconi, Comincioli, e il Carboni si guastano finendo nientemeno che in Tribunale a Roma. Carboni promuove ben sei cause civili contro Comincioli,
Il 9 ottobre 1978, infatti, le parti comunicano al Tribunale la composizione della controversia, estinguendo le cause, per via dell’intervenuta risistemazione generale dei rapporti tra Carboni e Comincioli, che è poi Berlusconi. Berlusconi paga 3 miliardi e 800 milioni (detratto il miliardo e 825 milioni già versati nel
Ma nel 1978, precisamente il 26 gennaio, Silvio Berlusconi si era affiliato alla loggia massonica deviata e occulta “Propaganda
L’esito di una perizia sui bilanci della Fininvest effettuata dagli esperti della Banca d’Italia su incarico della magistratura, ha evidenziato che negli anni dal 1977 al 1984 sono entrati nelle casse della Fininvest almeno 200 miliardi in contanti e a volte con assegni circolari, transitati sui conti delle 22 Holding, seguendo giri talmente tortuosi che di ben 114 miliardi i tecnici non sono riusciti a ricostruire la provenienza. Il capitale sociale della Fininvest, pari a 400 miliardi di lire, era ed è posseduto dalle 22 Holding, da Italiana prima e Italiana 22. Il capitale di queste è posseduto per metà direttamente da Berlusconi, e per l’altra metà da una società fiduciaria (di copertura) della Bnl,
Ecco in particolare alcune “stranezze” emerse dalla perizia della Banca d’Italia.
Il 6 aprile 1977
Il 2 dicembre 1977 arrivano nelle casse della Fininvest altri 16,4 miliardi come “finanziamenti soci”, non si sa se in contanti o assegni causa documentazione bancaria mancante.
Il 7 dicembre 1978 affluiscono sul conto di Berlusconi presso la filiale di Segrate della Popolare di Abbiategrasso altri 17,98 miliardi, tramite otto girocondi che coinvolgono varie società di comodo. Ma i periti non sono riusciti a trovare il “primo girante” e “l’ultimo beneficiario”, anche perché la documentazione bancaria era registrata su microfilm che risultano bruciati.
Tra il 24 e il 31 dicembre 1979
Tra marzo 1981 e maggio 1984 le varie Holding ricevono oltre 12 miliardi, tutti rigorosamente di provenienza ignota.
Ma il caso più divertente è quando il 19 ottobre 1979 Berlusconi costituisce
Nel
Ma quelle parole: “la prima sanità urbana in Italia” ci portano ad un altro fatto collegato, molto collegato con le imprese del novello cavaliere. La convenzione stipulata nel 1963 dal conte Bonzi col Comune di Segrate era comprensiva di un’area di 46.000 mq che il conte aveva venduto, nel
Don Luigi Verzè (prete “interdetto” dalla Curia milanese il 26 agosto 1964 con “la proibizione di esercitare il Sacro ministero”) aveva potuto acquistare l’area del conte Bonzi grazie a un finanziamento statale di 600 milioni, ottenuto attraverso i suoi stretti legami con alcuni leader della Dc romana. Stessi politici che gli avrebbero fatto avere altri finanziamenti per edificare la sua clinica privata. Belusconi, ovviamente, vedeva con estremo favore il sorgere di una clinica ospedaliera nei pressi di Milano 2, ma soprattutto, con un don Verzè così ben introdotto nella Dc romana, sarebbe stato più facile per l’Edilnord risolvere il grave problema delle fragorose rotte aeree sulla zona.
Sulla questione delle rotte aeree, il 24 luglio 1969
Il 24 giugno 1971 il duo Berlusconi-don Verzè inoltra al ministero dei Trasporti una petizione che sollecita “immediati provvedimenti” per salvaguardare la quiete dei cittadini (in quel momento sono circa 200) di Milano 2 e dei “degenti” dell’Ospedale San Raffaele, “che inizierà la sua attività nel luglio 1971 e che nel prossimo futuro raggiungerà la potenzialità di 600 letti”. In pratica non si sarebbe mai potuto costruire in quell’area, tanto meno un ospedale, proprio sulla rotta degli aerei, ma i due se ne sono altamente fregati e, visto che hanno cominciato, sono le linee aeree a doversi spostare.
E qui comincia la telenovela. Civilavia asseconda prontamente la richiesta e il 15 dicembre ’71, con Notam A267/71, con entrata in vigore il 15 gennaio successivo, dispone un allontanamento del corridoio di uscita da Linate “di circa
Il 13 settembre 1972 gli sparuti abitanti di Milano 2 ricevono un volantino in cui l’Edilnord chiede loro una mano per alcuni problemi, in primis il passaggio degli aerei sulle loro teste. Si forma così un “Comitato intercomunale antirumore”, in sigla CIA, che come nome è niente male. Il Comitato, alla guida di un ambiguo personaggio, tale Marcello Di Tondo, riesce ad attirare come alleati anche otto comuni dell’hinterland settentrionale: Brughiero, Vimodrone, Cernusco sul Naviglio, Cologno Monzese, Cassina dè Pecchi, Carugate, Pussero e Pessano con Bornago. A Roma il berlusconiano CIA ha un santino in paradiso nella persona del deputato Dc Egidio Carenini (futuro “fratello” di Berlusconi nella Loggia P2 e intimo amico del Venerabile maestro Licio Gelli). Il 13 marzo 1973 la direzione di Civilavia convoca un vertice sulle rotte da Linate, dove partecipano l’on. Carenini, esponenti del CIA, del CAS, i direttori dei quattro ospedali dei comuni settentrionali, funzionari del ministero della Difesa responsabili del controllo aereo, dirigenti dell’Alitalia e don Luigi Verzè in persona. Secondo un esponente del CAS, nel corso di tale riunione vengono utilizzate carte topografiche per Segrate e Pioltello risalenti al 1848, mentre per Milano 2, che è edificata solo al 25%, complete come se la cittadella fosse già stata ultimata.
Il 30 agosto 1973 Civilavia emette il “Notam A235/73”, che entra in vigore il 15 settembre. La nuova rotta degli aerei ha la prioritaria cura di evitare l’area Belusconi/don Verzè, ma con la nuova direttrice va a passare proprio sopra il municipio di Segrate, peggiorando l’inquinamento acustico anche nei comuni di Pioltello, Linito e San Felice. Gran festa dell’Edilnord, celebrata da un volantino dell’Associazione dei residenti di Milano 2 che celebra l’avvenimento. Ma nella vittoria ci sono anche i fregati, che sono gli otto comuni alleati. Costoro accusano l’Edilnord/Milano 2 strumentalizzazione per interessi di parte. Il fatto è che penalizzati, e fortemente, sono pure i piloti degli aerei. La vicenda assume sempre più i connotati dello scandalo, al punto che la stampa locale scrive: “Dirottamenti aerei col sistema della mafia”. Bisogna dire che ci avevano centrato.
Partono varie denunce contro i dirottamenti, mentre l’Edilnord prosegue il suo incessante lavoro manipolatorio. Verso la fine del 1973 viene fatto circolare un ponderoso “studio scientifico” sul problema delle rotte, attribuito al prestigioso Politecnico di Milano. L’”imparziale” studio indica nell’ultimo “Notam” del 1973 la “soluzione ottimale” per l’area di Milano 2/Ospedale di don Verzè. Qualche mese dopo la presidenza del Politecnico scoprirà che lo studio era stato commissionato proprio dall’Edilnord, con “incarico privato” a un gruppo di docenti dell’Istituto capeggiati dall’ing. Giovanni da Rios. I docenti coinvolti nella truffaldina iniziativa si vedranno costretti, per evitare l’espulsione dall’Istituto, a pubbliche scuse e ad eliminare dallo studio pro-Edilnord ogni riferimento al Politecnico.
Ma siccome non tutte le ciambelle riescono col buco, tutta la questione dei dirottamenti finisce nelle Preture. Il direttore generale di Civilavia, il generale Paolo Moci, viene condannato dal Pretore di Monza, mentre viene disposto lo stralcio dal procedimento di alcuni atti di ben diversi reati: abuso d’ufficio, omissione di atti d’ufficio, corruzione, a carico del rettore dell’Università Statale Giuseppe Schiavinato, del sindaco di Segrate Gianfranco Rosa, dell’assessore regionale all’Ecologia Filippo Bertani e di don Luigi Verzè. Il 18 giugno 1975 il Pretore di Milano, in una seconda sentenza a carico di Paolo Mocci, manda la questione delle rotte alla Procura della Repubblica per competenza, “in quanto è chiara la connessione tra tali fatti ed eventuali fenomeni di speculazione e di illeciti comportamenti da parte di pubblici amministratori (e di altri)…Perché è certo che (la modifica delle rotte) portò rumorosità su paesi densamente abitati, e inoltre perché si sospetta che mutamento delle rotte e conseguente inquinamento acustico furono conseguenza di illeciti di grandi proporzioni implicanti responsabilità di pubblici amministratori”.
Il 3 marzo 1977
Comunque nessuna preoccupazione. Gli strascichi scaturiti dallo scandalo Milano 2/San Raffaele non approderanno a sentenze di condanna definitive. Tra archiviazioni, stralci, rinvii a giudizio, ricorsi, assoluzioni, prescrizione di reati, se la cavano il rettore Schiavinato, i sindaci Rosa e Turri, la stessa Edilnord, e pure don Luigi Verzè, che si vedrà risparmiata, per intervenuta prescrizione, la condanna subita in primo grado per “tentata corruzione”. Gli antesignani del loro amico Silvio Berlusconi.
Per l’agiografia berlusconiana, la costruzione della città satellite Milano 2 sarebbe stato il primo “miracolo” compiuto del superinprenditore fattosi da solo il quale, senza disporre di capitali e col solo ausilio della sua straordinaria genialità, sarebbe riuscito a edificare dal nulla l’avventuristica cittadella. Come abbiamo visto non è proprio per niente così. Non abbiamo detto, anche se qualcosa si può già ben capire da quanto sopra, che tutta l’operazione, Milano 2 e Ospedale San Raffaele, è stata esclusivamente una grandiosa opera di corruzione a tutti i livelli. Dopo i giornali locali se ne sono occupati anche diversi giornali nazionali: Il Manifesto nell’agosto 1973 (I mille volti della speculazione edilizia…); il settimanale il Mondo del 4 ottobre 1973 (Le rotte di cemento); l’Avanti, che nel dicembre 1973 informa dell’inchiesta del Pretore di Monza sul dirottamento dei voli; il Corriere della Sera il 18 aprile 1974 sul tentativo di corruzione nei confronti dell’assessore regionale alla Sanità Vittorio Rivolta; il Giorno, che il 25 giugno 1974 informa di 14 avvisi di procedimento a ex consiglieri del Comune di Segrate (retto ora da un commissario prefettizio); ancora il Giorno il 27 giugno 1974 che scrive che “il commissario prefettizio dott. Ajello si è rifiutato di firmare le tre licenze (le ultime) richieste dall’impresa costruttrice di Milano 2, perché sono in contrasto con le norme di rispetto cimiteriale.”; il settimanale milanese L’Ambrosiano, che nel dicembre 1974 scrive che i cittadini di Segrate accusano
Come si sarà notato, pur nella sintesi, negli articolo sopra citati non appare mai il nome si Silvio Berlusconi. Lui, infatti, opera nell’ombra, coperto da prestanome e con capitali di anonime finanziarie svizzere. Ma anche sulla figura del palazzinaro Silvio Berlusconi, in seguito alla scandalosa speculazione multimiliardaria di Milano 2, comincia ad appuntarsi l’attenzione della stampa. Tra i primi ad occuparsi del misterioso affarista è ancora Giorgio Bocca, che nel marzo 1976 scrive: “Milano è la città in cui un certo Berlusconi di 34 anni costruisce Milano 2, cioè mette su un cantiere che costa 500 milioni al giorno. Chi glieli ha dati? Non si sa. Chi gli dà i permessi di costruzioni e dirottare gli aerei dal suo quartiere? Questo lo si sa, anche se si ignora il resto. Come è possibile che un giovanotto di 34 anni come questo Berlusconi abbia un jet personale con cui raggiunge nei Caraibi la sua barca, che sarebbe poi una nave oceanografica? Noi saremmo molto curiosi, molto interessati a sapere dal signor Belusconi la storia della sua vita: ci racconti come si fa a passare dall’ago al milione o dal milione ai cento miliardi”.
Lotta Continua scrive il 25 marzo 1977: “Berlusconi lavora sott’acqua, non appare mai. Gli strascichi amministrativi e giudiziari si sono risolti senza danno per Berlusconi…Quel che sorprende è la capacità di Berlusconi di costruire una intera città senza praticamente possedere nulla di suo, avvalendosi di potenti protezioni (e di alcune grosse banche come il Monte dei Paschi di Siena e
Sempre a marzo 1977 Berlusconi rilascia a Camilla Cederna “la sua prima intervista”.
Il 4 maggio 1977 Berlusconi fonda
Il 10 dicembre 1986
Nel 1993
Il 24 ottobre 1979 Berlusconi riceve la visita di tre ufficiali della Guardia di Finanza nelle sede dell’Edilnord, che ora è intestata a Umberto Previti. Il proprietario, lo sappiamo, in effetti è Silvio, ma ai finanzieri dice di essere un “semplice consulente esterno addetto alla progettazione di Milano
Sul finire del 79 Berlusconi, che comincia a lanciarsi nel settore televisivo, dà l’incarico ad Adriano Galliani di girare l’Italia per acquistare frequenze televisive. Galliani si dà molto da fare, e inizia dalla Sicilia, dove entra in società con i fratelli Inzaranto di Misilmeri nella loro rete Sicilia Srl. Giuseppe Inzaranto, uno dei fratelli e neo socio di Galliani, è marito della nipote prediletta di Tommaso Buscetta che, all’epoca, era un boss importante, non ancora il grande pentito. Ma sospettiamo che Galliani, e Berlusconi, siano stati là indirizzati da un altro importante personaggio proveniente da Misilmeri: Giuseppe Azzaletto, uno dei fondatori della Banca Rasini.
Il 26 ottobre 1981, interrogato dalla Commissione parlamentare sulla P2 nella sua qualità di affiliato alla Loggia, Berlusconi tra l’altro dichiara: “Mi sono iscritto alla P2 nei primi mesi del 1978, su invito di Licio Gelli che conoscevo da circa sei mesi, e che avevo visto solo due volte. Ero convinto che
Ma l’ex senatore Sergio Flamini, già componente della Commissione d’inchiesta, preciserà: “La deposizione di Berlusconi davanti alla Commissione fu menzognera e reticente. Berlusconi mentì quando affermò di non avere versato contributi: il 22 marzo 1982
Nel corso della sua deposizione davanti alla Commissione d’inchiesta sulla P2 anche il piduista Bruno Tassan Din (ad del gruppo Rizzoli/Corriere della Sera) confermerà: “Gelli era molto amico di Berlusconi, e in diverse occasioni mi disse di fare degli accordi con lui sia nel settore della televisione che dell’editoria. Io conoscevo Berlusconi direttamente, e questo in verità mi fece riferimento alla opportunità di un accordo nel quadro anche dei contatti che lui aveva con Gelli”.
Torniamo alla Banca Rasini. Come è stato detto, nel 1974 era arrivato il nuovo direttore generale dell’Istituto, Antonio Secchione. Costui si è dato talmente da fare che il valore della banca è letteralmente esploso, passando dal miliardo del 1974 ai 40 miliardi del 1984. Sul come lo vedremo tra poco. Ma anche di uno dei nuovi consiglieri, l’avvocato romano Mario Ungaro, c’è da dire qualcosa. Questi si è detto che era amico di Sindona e Andreotti. In effetti doveva essere davvero molto amico, fidato, per quei due, se proprio Ungaro fu il latore di una lettera scritta da Sindona e diretta ad Andreotti. Questo il testo della lettera ripreso dalle “Relazioni” della Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Sindona. Scrive Sindona: “Lei dovrebbe fare qualcosa almeno in Italia, e precisamente: sollecitare
Nella notte del 14 febbraio 1983 scatta quella che è stata definita l’”0perazione San Valentino”, la più imponente operazione degli ultimi anni contro la mafia e la camorra. Un blitz sviluppato contemporaneamente a Milano, Roma, Palermo e in altre città. 130 tra ordini e mandati di cattura emessi, 200 perquisizioni, decine di denunciati, sequestrati beni immobili, società, azioni, bloccati assegni e conti correnti per diverse centinaia di miliardi. Solo a Milano i provvedimenti restrittivi emessi sono 52, dei quali 30 eseguiti, 70 i provvedimenti di sequestro, 164 le persone denunciate. L’accusa contestata è quella dell’art. 416 bis del Codice penale: “Appartenenza ad associazione a delinquere finalizzata alla consumazione di una serie interminabile di delitti contro la persona, quali omicidi e sequestri, contro il patrimonio, quali estorsioni e ricettazioni, contro l’amministrazione della giustizia, quali favoreggiamento, contro la pubblica amministrazione, quali corruzione, di delitti di detenzione e porto d’armi, di delitti legati alla gestione di attività economiche e alla realizzazione di profitti e vantaggi ingiusti”. Tra le persone catturate figurano Luigi Monti, Antonio Virgilio, Romano Conte, Carmelo Gaeta, Antonio Enea, Giovanni Ingrassia, Claudio Giliberti, Giuseppe Bono e altri. Ordine di cattura anche per Gaetano Fidanzati, Alfredo Bono (fratello di Giuseppe), Vittorio Mangano (chi si rivede!), Ugo Martello detto “Tonino”, tutti noti mafiosi da tempo in carcere.
E
“La flagrante connivenza della Rasini con Monti e Virgilio rientra nel novero dei più vasti rapporti che la banca intrattiene con esponenti della “mafia dei colletti bianchi”, e con personaggi a essa mafia attigui, come il costruttore Silvio Sonetti (condannato per crac della Concordia a 9 anni di reclusione). Il comune tornaconto è tale che a un certo punto il malavitoso “giro” manifesta alla Rasini la “disponibilità a trattare l’acquisto del pacchetto azionario di controllo della banca dal 51 al 73% sulla base di una valutazione dell’intero pacchetto di lire 40 miliardi. L’operazione di compravendita della banca non andrà in porto, ma è un fatto che
Come si vede, questa è l’altra particolarità per cui
E’ sempre nell’’83, il 30 maggio, che
Torniamo alla Banca Rasini, che tra i suoi clienti non aveva solo quei due, ma anche numerosi altri, direttamente o tramite prestanome. Gaeta, Bono, Enea, Fidanzati, persino conti che riconducevano a Totò Riina e Bernardo Provenzano. Una banca beccata in simili condizioni avrebbe quantomeno dovuto chiudere i battenti, con messa sotto sequestro. Macché, né
Ma chi è Nino Rovelli? E’, anzi, era, il proprietario della Sir, Società Italiana Resine, arrivata praticamente sull’orlo del fallimento. Nel ’78, nonostante sia stato generosamente assistito dal sistema creditizio, ed abbia goduto di grandi coperture politiche, da Giulio Andreotti a Giacomo Mancini, Rovelli non ha più mezzi finanziari per andare avanti. Per i finanziamenti alla Sir è nell’occhio del ciclone la stessa Banca d’Italia, coinvolta in una inchiesta della magistratura, che finirà nel nulla, che spingerà il governatore Paolo Baffi, nella primavera del ’79, a rassegnare le dimissioni. Il 19 luglio 1979, per salvare i crediti, le banche sottoscrivono una convenzione con Rovelli e assumono il controllo della società: 700 miliardi di debiti vengono trasformati in quote di proprietà in mano agli istituti. A firmare l’intesa sono l’allora presidente dell’Imi Giorgio Cappon e Piero Schlesinger, presidente del costituendo consorzio bancario di salvataggio, che succederà a Cappon al vertice dell’Istituto, rimanendovi però solo sei mesi, fino all’estate dell’80. Nella convenzione si afferma che Rovelli potrà riavere il 10% della Sir se le valutazioni del patrimonio netto del gruppo daranno luogo a plusvalenze.
Nel 1980 viene costituito il Comitato per l’intervento nella Sir, finanziato con circa 500 miliardi dal Tesoro, che rileva il 60% della Sir-Rumianca. Il resto rimane alle banche.. Nel 1982 inizia la battaglia delle carte bollate. La mancata applicazione dell’accordo del 19 luglio ‘79 induce Rovelli a iniziare una vertenza giudiziaria. Malgrado il dissesto della Sir abbia provocato una voragine nei conti, Rovelli dai banchi dell’imputato va a indossare i panni del danneggiato. Nel 1986 il Tribunale Civile di Roma, sezione prima, presidente Filippo Verde, ricordatevi il nome, dà ragione a Rovelli, e nomina tre periti per la valutazione della Sir e per calcolare l’ammontare del risarcimento all’ex azionista del gruppo chimico. Nel 1988 la sentenza viene convalidata in appello. Nel 1989
Nel novembre del 1990
Il 2 gennaio 1992 l’udienza davanti alla prima sezione civile della Suprema corte si conclude con un colpo di scena: scompare la procura speciale conferita dall’Imi al collegio di difesa che lo deve rappresentare in giudizio. Il 30 gennaio l’Imi sporge denuncia contro ignoti per la scomparsa della procura speciale dagli incartamenti depositati in Cassazione. Il giorno seguente i legali dell’Imi sollevano eccezione di incostituzionalità verso l’articolo 369 del codice di procedura civile, in quanto lederebbe il diritto alla difesa. Il 6 novembre
Il 14 luglio 1993 la prima sezione civile della Cassazione condanna definitivamente l’Imi a risarcire gli eredi Rovelli. Presidente è Vincenzo Salaria, consiglieri Antonio Ruggiero, Giuseppe Borre, Gian Carlo Bibolini (relatore), Rosario Morelli. Il risarcimento previsto per il 29 ottobre viene effettuato solo all’inizio del ’94. Sono sui 900 miliardi, ma gli eredi Rovelli chiedono all’Iri altri 60 miliardi per il ritardo. Ma il 1° luglio 1993 l’Imi inizia causa di risarcimento contro il consorzio bancario di salvataggio e propone il “ricorso per revocazione contro la sentenza della Corte di Cassazione per errori di fatto”. Il ministero del Tesoro “ha proposto opposizione di terzo contro la sentenza della Corte d’appello”.
A fine maggio ’97 viene arrestato negli Usa Felice Rovelli, figlio del defunto Nino, in esecuzione di una richiesta internazionale basata sull’ordinanza emessa dal Gip milanese Alessandro Rossato. Si contesta il reato di corruzione in concorso con persone da identificare nei confronti degli avvocati Cesare Previti, Giovanni Acampora e Attilio Pacifico. L’accusa è che ai tre Nino e Felice Rovelli diedero 70 miliardi affinché, violando i propri doveri, favorissero i corruttori nella causa con l’Imi. In seguito a quanto, tra il 2001 e 2003
Come abbiamo anche già visto, tra marzo 1981 e maggio 1984 le varie Holding ricevono oltre 12 miliardi, tutti rigorosamente di provenienza sconosciuta. Ma intanto Silvio Berlusconi si era ormai lanciato nel business della televisione. Già nel 1980 aveva annunciato di aver investito 40 miliardi nel nuovo affare mediatico. Con l’avvento dall’agosto 1983 dell’amico Bettino Craxi alla presidenza del consiglio, le fortune di Berlusconi lievitano. Prima di continuare, però, due parole su Craxi. Costui aveva fatto dimettere il precedente governo Spadolini (quello che aveva messo fuori legge
Torniamo a Silvio. Come d’incanto le principali banche italiane fanno la fila per prestare soldi all’amico di Bettino. Dalla Centrale Rischi della Banca d’Italia si vede che fino al 1984 il gruppo Fininvest lavorava con
Insomma, Berlusconi qualche santo in paradiso dovrebbe averlo in Efibanca. Infatti chi appare tra i consulenti dell’istituto? Proprio lui, Cesare Previti! E la società Sirea, Società italiana revisione aziendale, da chi, tra gli altri, è amministrata? Da Giuseppe Previti, fratello di Cesare e figli entrambi di Umberto. Come si suol dire, tutto torna. Infatti ben presto Efibanca rinuncia persino a chiedere ipoteche per i finanziamenti al gruppo Fininvest, con il collegio sindacale piuttosto silente, quando avrebbe avuto tutti i diritti per intervenire. Ma pure nel collegio sindacale tanto a posto non erano. Uno dei sindaci, per esempio, Antonio Berton, è stato sindaco dal 1984 al 1994 di Bnl holding, mentre nello stesso periodo era anche titolare della Fiduciaria Padana, altro schermo societario utilizzato da Berlusconi per i suoi misteriosi aumenti di capitale. E lo stesso Berton viene pure nominato liquidatore della berlusconiana Cofint. La generosissima Efibanca verrà poi rilevata nel dicembre ‘99 dalla Banca Popolare di Lodi, un altro bello elemento che vedremo presto.
Qualche parola sulla vita privata di Silvio Berlusconi. Costui sarà un grande difensore della cattolicità e della famiglia, ma non si può certo dire che sia un grande esempio. Anzi, sarà l’esempio dell’ipocrisia, ma può consolarsi, visto che si troverà in buona compagnia. Berlusconi sposa nel 1965 la genovese Carla Elvira Dell’Oglio, che gli darà due figli: Maria Elvira, detta Marina, nel ’66, e Piersilvio nel ’69. Nel 1980 conosce l’attrice Veronica Lario, vero nome Miriam Bartolini, mentre questa recita al teatro Manzoni in uno spettacolo dal titolo “Milano senza veli”. Se ne innamora e la nasconde per tre anni in una ala segreta della sede Fininvest di via Rovani a Milano. Poi la donna rimane incinta, e nel 1984, sempre nel segreto più assoluto, partorisce in Svizzera una bambina, Barbara, che Berlusconi riconosce. Padrino di battesimo Bettino Craxi. Nel 1985 Berlusconi divorzia da Carla Dell’Oglio e ufficializza il legame con Veronica Lario (Miriam Bartolini). Questa gli dà altri due figli: Eleonora nel 1986 e Luigi nel 1988. Nel 1990 celebra con rito civile le seconde nozze, officiante il sindaco socialista di Milano Paolo Pillitteri, cognato di Craxi. Testimoni degli sposi Bettino e Anna Craxi, e Fedele Confalonieri e Gianni Letta. Una piccola nota sulle nascite in terra elvetica. Miriam Bartolini, in arte Veronica Lario, ha dato alla luce le figlie Barbara ed Eleonora nella svizzera Arlesheim. E nella svizzera Arlesheim anche Marcello Dell’Utri è diventato due volte padre nel 1981 e nel 1985. Non solo meri interessi affaristici, ma si vede che
Nel luglio ’88
Il 27 settembre 1988. al Tribunale di Padova, in un processo da lui stesso intentato contro gli autori di un libro in cui si diceva che apparteneva alla P2, Silvio Berlusconi viola l’art. 373 c.p. per falsa testimonianza. La sentenza n. 97 del 22/20/1990, n. 215/89 del Registro Generale della Corte d’Appello di Venezia dice: “Ritiene il collegio che le dichiarazioni dell’imputato non rispondano a verità, smentite dalle risultanze della Commissione Anselmi e dalle stesse dichiarazioni rese dal prevenuto avanti il giudice istruttore di Milano e mai contestate…Ne consegue quindi che il Berlusconi ha dichiarato il falso con dichiarazioni menzognere…e compiutamente realizzato gli estremi obiettivi e subiettivi del delitto di falsa testimonianza…Ma il reato va dichiarato estinto per intervenuta amnistia”. Sentenza passata in giudicato il 13/2/1991. Sarà stato amnistiati (che fortuna!), ma la condanna per falsa testimonianza c’e!
Tra il 1989 e il 1991 c’è una lunga battaglia fra Silvio Berlusconi e Carlo De Benedetti per il controllo della Mondatori, la prima casa editrice che controlla quotidiani (
In un rapporto della polizia cantonale di Bellinzona, e qui siamo di nuovo in Svizzera, datato 13 settembre 1991, “Aggiornamento operazione Atlatida e Mato Grosso”, firmato dal comandante della sezione “Informazioni droga” del Canton Ticino Daniele Corazzino, e dal comandante della polizia di Bellinzona Silvano Sulmeni, a pag. 2 è scritto: “Per quanto riguarda il denaro da ricevere in provenienza dall’Italia (v. nostro rapporto 10/6/91) il medesimo apparterrebbe al clan di Silvio Berlusconi. Già si dispone del codice di chiamata (per il trasferimento del denaro dall’Italia), dovranno unicamente designare una persona di fiducia di tale gruppo. Il nome di Berlusconi non deve impressionare più di quel tanto poiché anni fa, segnatamente ai tempi della Pizza Connection, lo stesso era fortemente indiziato di essere il capolinea dei soldi riciclati. All’epoca si interessava dell’indagine l’allora giudice Di Maggio, che era stato anche in Ticino per conferire con l’ex procuratore pubblico on. Dick Marty”.
Questo rapporto, rivelato dal settimanale “Avvenimenti” il 23 marzo 1994, risulta essere stato inviato anche al comandante della polizia cantonale Mauro Dell’Ambrogio, al Procuratore Pubblico di Lugano Carla Del Ponte e a quello di Bellinzona Jacques Ducry. Il rapporto continua con la testimonianza di un funzionario “coperto” della polizia ticinese infiltratosi nel giro del narcotraffico internazionale: “Attraverso uno stratagemma sono entrato in contatto con il finanziere brasiliano Juan Ripoli Mari, personaggio che in Brasile gode di poderosi appoggi politici, specialmente quando era al potere l’ex presidente Collor, destituito perché coinvolto in uno scandalo legato ad un vasto giro di trafficanti di cocaina e riciclatori…Juan Ripoli Mari dispone di quattro società paravento panamensi dislocate a Lugano, dove tra l’altro è in contatto con un avvocato fiduciario con funzione di amministratore…L’intenzione di Ripoli Mari era quello di riciclare 300 milioni di dollari provenienti dalla Francia, dalla Spagna e dall’Italia, oltre ad altri 100 milioni del gruppo terroristico Eta…A suo dire, il denaro fermo in Italia e da riciclare proveniva dall’impero finanziario di Silvio Berlusconi, attualmente alle prese con grosse difficoltà finanziaria”.
Il 25 settembre, meno di due settimane da questo rapporto, la polizia di Ginevra arresta Winnie Kollbrunner, trovata in possesso di titoli rubati provenienti da una strana rapina ai danni di una filiale romana del Banco di Santo Spirito.
Martelli e Craxi risulteranno essere stati i beneficiari del conto cifrato “Protezione” 633369, aperto presso l’Unione Banche Svizzere di Lugano dal faccendiere Silvano Larini (amico di Silvio Berlusconi, e tramite dell’incontro Berlusconi-Craxi sul finire degli anni sessanta). Nel conto “Protezione” affluì, tra il 1980 e il 1981, una prima tangente di 7 milioni di dollari pagata dal bancarottiere piduista Roberto Calvi con la regia del Venerabile maestro Licio Gelli. L’operazione venne concepita all’interno della Loggia P2 , alla quale Berlusconi era affiliato, ed era a beneficio di Craxi, padrino politico della Fininvest e intimo amico di Belusconi.
Nel novembre
“Il Mondo” del 13 giugno 1994 riporta quanto dichiarato da Fiorini in un interrogatorio del 12 ottobre 1993 davanti ai magistrati di Ginevra. “Il prezzo d’acquisto definitivo di Mgm fu di 1.312 milioni di dollari. 862 milioni di dollari furono forniti direttamente dal gruppo Crédit Lyonnais. In particolare Mgm aveva raggiunto un accordo per cedere i diritti di trasmissione dei film della sua biblioteca. Tra gli acquirenti c’era anche Fininvest Spagna. Il Crédit Lyonnais di New York scontò il contratto d’acquisto di Fininvest Spagna per 66 milioni di dollari. Riguardo altri 160 milioni forniti dal Crédit Lyonnais erano in parte garantiti da un impegno della Finivest a comprare azioni Mgm per 50 milioni di dollari”. Un impegno che deve essere caduto nel vuoto in quanto non risulta che
Comunque Fiorini non era solo legato a Berlusconi, Craxi,
In un rapporto datato 27 novembre 1992 inviato ai vertici della polizia cantonale ticinese, il già citato funzionario svizzero infiltrato nel narcotraffico internazionale scrive: “Agli inizi del 1991 alcune informazioni confidenziali rivelarono che presso
Della Fimo, e di Lottusi, abbiamo già accennato, ma le cronache giornalistiche del 1994 dicono qualcosa in più riguardo all’acquisto di un calciatore da parte del Milan-Fininvest: “Tutte le inchieste portano a Chiasso. Al numero 89 di via San Gottardo, dove ci sono le sedi di una finanziaria e di una banca che sono al centro di infinite indagini su mafia e tangenti. E dalle quali si scopre che sono passati anche i soldi per il trasferimento di Gianluigi Lentini , l’attacante granata acquistato dal Milan a suon di miliardi”. A parlare è stato Mauro Borsano, ex parlamentare del Psi, amico di Bettino Craxi, e ex presidente del Torino Calcio, che curò la vendita di Lentini nel marzo 1992, ricostruendo davanti al pm Gherardo Colombo la trattativa e soprattutto i versamenti in nero estero su estero.
Secondo Borsano il primo accordo prevedeva un prezzo ufficiale di 14 miliardi e mezzo più un anticipo di 4 miliardi in nero. Per la gestione degli accrediti Borsano si rivolge alla famiglia Aloisio, che controlla sia
“Avvenimenti” del 9 febbraio 1994 ci dice qualcosa di più di quanto abbiamo gia detto sul deus ex machina della Fimo, Tito Tettamanti. “Uomo potentissimo, a capo di una delle più importanti lobbies internazionali facenti capo alla Svizzera, il gruppo Saurer, Tettamanti è al centro di una vasta rete di rapporti d’affari e d’amicizia nel mondo della finanza europea. Socio di Vittorio Ghidella (ex numero due della Fiat, indagato a Bari per truffa ai danni della Cassa del Mezzogiorno), grande amico dell’ex vicepresidente del Banco Ambrosiano Orazio Bagnasco e del faccendiere luganese Marco Gambazzi (coinvolto nelle inchieste sul crac Ambrosiano, e più recentemente gestore del “Conto Cassonetto” del giudice Diego Curtò), legato all’Opus Dei (e al suo boss zurighese Pter Duft, processato a Milano per concorso in ricatto ai danni di Roberto Calvi), alla Banca Karfinco (il cui presidente, Hubert Baselmagel, è stato per anni l’analista economico del gruppo di Tettamanti), a Florio Florini, al deus ex machina degli affari in Medio Oriente Nadhmi S. Auchi (coinvolto nel giro delle tangenti del gruppo Eni, ma anche punto di riferimento al Lussemburgo per l’area di Mauro Giallombardo e Jean Faber). Un socio di Tettamanti, John Rossi, fu incaricato da Larini e da Fiorini di opporsi alla rogatoria italiana sul “Conto Protezione”. Alla fiduciaria di Tettamanti,
Il 17 febbraio
Come numerose delle principali realtà industriali e produttive del Paese, anche il gruppo Fininvest è parte di Tangentopoli. L’8 aprile 1993 il vicepresidente della Fininvest Comunicazioni Gianni Letta viene interrogato dal magistrato Antonio Di Pietro, davanti al quale ammette che nel 1988 l’allora segretario del Psdi Antonio Cariglia lo contattò alla vigilia delle elezioni per chiedergli più spazio in tv e un contributo al partito. Letta conferma di aver versato circa 70 milioni al Psdi, anche se dice di non ricordare bene. Comunque il reato di finanziamento illecito ai partiti era stato amnistiato fino al 1989. La stessa amnistia che “pulì”, per modo di dire, Silvio Berlusconi dopo la condanna per falsa testimonianza. A fine maggio del ’93 il gip Italo Gritti rinvia a giudizio Paolo Berlusconi, fratellino di Silvio e formale intestatario della quota di maggioranza del “Giornale” di Montanelli. L’accusa per una mazzetta di 150 milioni versati all’ex segretario regionale della Dc Gianstefano Frigerio, che avrà la bontà di specificare “in contanti e in nero”, per partecipare alla spartizione delle discariche lombarde. Frigerio è un altro che farà carriera nel clan Berlusconi.
Il 18 giugno 1993 viene arrestato Aldo Brancher, un altro del clan, braccio destro di Confalonieri, accusato di aver passato 300 milioni al ministro Francesco De Lorenzo. Costui diventò poi famoso per la gioielleria nel sofà grazie ai suoi intrallazzi nella sanità. Brancher difende Fininvest, affermando che era un rapporto tra lui e il ministro. Ma il segretario di De Lorenzo, Giovanni Marone, smentisce Brancher: i soldi erano stati dati in cambio di un maggior spazio su Fininvest della campagna pubblicitaria contro l’aids. Brancher deve rispondere anche dei finanziamenti illeciti al giornale “Avanti” del Psi, in una altra inchiesta condotta dai giudici di Napoli.
Il 12 luglio ’93 Fedele Confalonieri, presidente della Fininvest Comunicazioni, viene interrogato dal sostituto procuratore Paolo Ielo perché indagato per falso in bilancio per sospetti finanziamenti ai partiti. In mezzo già ci era stata la scoperta del “Piano frequenze”, quello che avrebbe dovuto ridisegnare la mappa del potere televisivo in Italia, con i carabinieri al Ministero delle Poste per farsi consegnare tutta la documentazione relativa. Il 30 maggio 1993 Silvio Berlusconi e Adriano Galliani vengono ascoltati come testimoni dal sostituto procuratore Maria Cordova presso il Tribunale di Roma. Vengono arrestati l’ex direttore generale dei telefoni Giuseppe Parrella e il suo aiutante Cesare Caravaggi, poi Davide Giacalone, uomo del ministro delle Poste Mammì, e l’ex segretario di Parrella, Giuseppe Lo Moro. Per addomesticare,
Quando il contumace, non esule, Bettino Craxi dal suo esilio volontario di Hammameth confermerà al New York Times che anche
Il 21 maggio 1992 il magistrato palermitano Paolo Borsellino rilascia a un giornalista francese quella che sarà l’ultima intervista. Una intervista che Rainew 24 trasmetterà diverso tempo dopo, senza che succeda niente. Tutto finirà nel dimenticatoio. Nell’intervista Borsellino parla, senza sbilanciarsi troppo, in quanto inchieste sono in corso o possono essere ancora in corso, di Vittorio Mangano, Marcello Dell’Utri e, a domanda del giornalista, di Silvio Berlusconi. Proprio alla fine il giornalista chiede: “C’è una inchiesta ancora aperta?”. Borsellino risponde: “So che c’è una inchiesta ancora aperta”. Giornalista, in francese: “Su Mangano e Berlusconi a Palermo?”. Borsellino: “Sì”. Un paio di mesi dopo Paolo Borsellino viene ucciso dalla mafia in un attentato. Dell’inchiesta non si sa più nulla.
Il 20/10/1993 Silvio Berlusconi, in una intervista a Epoca, afferma: “Noi non abbiamo giornali-partito. Noi non teorizziamo né tantomeno pratichiamo l’informazione come strumento di ricatto politico. I nostri sono eccellenti prodotti editoriali, non fabbriche di consenso o, quel che è peggio, di calunnie, di derisione, di disprezzo. Non ho mai usato ne mai userò i miei mezzi di comunicazione per scatenare campagne di aggressione contro un concorrente,ne diffamare chi non è d’accordo con me. Lascio questi metodi ad altri”. Davvero un “uomo” di parola! Dopo l’entrata in politica giornali e tv berlusconiane (le sue, ma non solo, tre reti tv, Il Giornale, Libero, Il Foglio) si trasformeranno in formidabili strumenti di attacco, aggressione e spesso di diffamazione. Memorabile, indimenticabile, come vedremo più avanti, la bufala di “Telekom Serbia”!
Ma questa intervista in effetti annuncia il suo intervento in politica. Smentita in continuazione, fino a quando, agli inizi del 1994, non va ad annunciare la costituzione del partito-azienda di Forza Italia e, dagli schermi della tv il 26 gennaio ’94, la sua “Discesa in campo”. Ufficialmente per “salvare l’Italia, per un nuovo miracolo economico”, ma in effetti, visto che le cose non stanno andando molto bene in tutti i sensi, per salvare le sue aziende e lui stesso dalle inchieste che stanno proliferando, come lo stesso Berlusconi aveva già confermato a Biagi e Montanelli. Ma non possiamo neppure dimenticare quello che dissero i suoi stessi amici più vicini. Giuliano Ferrara a
Sempre nel gennaio 1994 viene estromesso dalla direzione de “Il Giornale” il suo direttore Indro Montanelli. “Il Giornale” era stato gentilmente regalato nel ’92 da Silvio Berlusconi al fratellino Paolo, allo scopo di aggirare la legge Mammì, che vietava la proprietà di network televisivi e giornali quotidiani. Ma, in verità, il vero padrone è sempre stato Silvio che, visto che Montanelli non voleva allineare il quotidiano a sostegno del partito della Fininvest, ha pensato bene di farlo fuori. Il fratellino Paolo si è segnalato solo per questa barzelletta allusiva: “Al mio paese c’è un signore molto vecchio che cade dal decimo piano e non si fa niente. Poi finisce sotto una macchina e non si fa niente. Poi cade in un tombino e non si fa niente. Alla fine abbiamo dovuto abbatterlo”.
Il 23 marzo
Come scrive il settimanale “L’Europeo”, “Per quattro ore
Dopo l’udienza il Csm non adotterà alcun provvedimento disciplinare nei confronti del Pm Omboni, né esprimerà censure verso il suo operato, la cui puntualità troverà una conferma indiretta il successivo 11 maggio, con l’arresto di quattro “fratelli” della massoneria deviata. “Sono: il principe Giovanni Alliata di Montereale, 73 anni, già coinvolto nel golpe Borghese, Sovrano dell’associazione segreta Obbedienza; Il colonnello Benedetto Miseria, Gran Maestro dell’Obbedienza di Alliata; Cosmo Sallustio Salvemini, massone di una loggia coperta e fondatore del Movimento Salvemini intitolato al grande storico Gaetano, di cui è nipote; e Alfredo Rasoli, segretario del Movimento Salvemini. L’accusa: il principe Alliata aveva promesso al gruppo Solidarietà la lista antiRutelli del colonnello Pappalardo, e in particolare, ai candidati Salvemini e Rasoli, un finanziamento di 500 milioni e 2.500 voti a patto della loro affiliazione alla sua Loggia segreta. Le prove: 45 intercettazioni telefoniche fatte tra il giugno 93 e l’aprile di quest’anno. Emergono in maniera inequivocabile le finalità illecite che
Il 27-28 marzo 1994 Silvio Berlusconi, alla guida di una coalizione di centrodestra denominata umoristicamente “Polo delle libertà”, vince le elezioni politiche e diventa presidente del consiglio. Nel governo del piduista Berlusconi, tessera 1816, trova posto quale ministro dei Trasporti l’ex democristiano e neofascista Publio Fiori, tessera 1878. Alla presidenza della Commissione Affari costituzionali della Camera Gustavo Selva, tessera 1814. Selva ha la particolarità di essersi affiliato alla P2 il 26 gennaio 1978, lo stesso giorno dell’affiliazione del “fratello” Silvio Berlusconi.
Il fatto che Berlusconi sia entrato in politica per pararsi le spalle non esclude per niente che le indagini della magistratura continuino, sempre per fatti precedenti, e non, come dirà lui, perché era diventato presidente del consiglio. E’ il fratellino Paolo e finire sotto i riflettori. Già nel novembre ’99
Nell’aprile ’94 anche
Nel maggio 1994
In una intervista pubblicata dal quotidiano inglese “Herald Tribune”, Silvio Berlusconi, presidente del consiglio in carica, difende il fratellino. Ammette, bontà sua, le bustarelle Fininvest pagate alla Guardia di Finanza per addomesticare i controlli fiscali ma, a suo dire, si sarebbe trattato di somme “estorte” al fratello Paolo dai voraci finanzieri. Comunque erano somme “ridicolmente piccole”, e lui, Silvio, non ha mai saputo assolutamente nulla delle bustarelle da centinaia di milioni, pagate ai finanzieri talmente in segreto da essere versate a sua insaputa, e senza che mai lui venisse informato!
Non c’è proprio da stupirsi, pare che in Fininvest esista una regola molto ferrea: “Pur di salvare Silvio Berlusconi, tutti i gregari sono tenuti al sacrificio di sé; e dunque, se proprio non possono negare la mazzetta, devono caricare su di sé l’intero peso delle responsabilità del misfatto…Ogni volta che salta fuori una tangente Fininvest, Silvio Berlusconi si affretta a precisare che non ne sapeva niente…Emblema di questa strana vocazione aziendale al martirio in nome del capo, nonché figura sommamente patetica dell’universo berlusconiano, è il giovane Paolo che viene mandato allo sbaraglio. Nonostante che le società coinvolte nei giri di mazzette fossero tutte, all’epoca dei fatti, di proprietà di Silvio”.
Nella formazione del suo governo, intanto, a Silvio Berlusconi viene il ghiribizzo di nominare a ministro dell’Interno nientemeno che l’avvocato, il suo, Cesare Previti. La cosa, come in subordine la nomina a ministro di Grazie e Giustizia, provoca il veto dal Presidente della Repubblica Scalfaro. Il neo senatore Previti dovrà “accontentarsi” della poltrona di ministro della Difesa, dalla quale può comunque controllare il Servizio segreto militare, l’Arma dei Carabinieri e le pingui commesse di armamenti. Arrivato ormai sotto le luci dei riflettori, Previti trova il modo di dichiarare: “Sì. Ero protutore della marchesa Casati. Lei aveva deciso di vendere la villa di Arcore a delle persone che a me non piacevano. Così ho detto a Silvio di non lasciarsi scappare questa casa, che era molto bella e stava meglio in mano sua che in mano altrui”.
Nel mentre una anziana signora romana, Giovanna Ralli, denuncia di essere vittima di una disinvolta operazione che ha per protagonista Clelia Previti, sorella di Cesare e figlia di Umberto, attraverso una strana società previtiana, e per oggetto un immobile della Ralli situato sulle scogliere dell’Argentario, a Punta Maddalena, una splendida torre spagnola, per il cui acquisto Clelia Previti ha rilasciato alla Ralli 700 milioni di cambiali parte delle quali finite in protesto.
Ma le cronache giornalistiche registrano pure il coinvolgimento di Giuseppe Previti, altro fratello di Cesare e figlio di Umberto, nello scandalo massonico affaristico della Cassa Di Risparmio di Firenze. “Oltre 100 miliardi di fidi non iscritti a bilancio e ormai inesigibili, affidamenti erogati senza garanzie a imprenditori di dubbia solidità. Comune denominatore del comitato d’affari che dettava legge nella Carifi è l’appartenenza alla Massoneria. Coinvolto nella vicenda anche Giuseppe Previti, fratello maggiore di Cesare, ministro della Difesa”. Giuseppe Previti risulta indagato dalla Procura della Repubblica di Firenze per associazione a delinquere finalizzata alla truffa e alla appropriazione indebita. Però, che famiglia!
Il 21 giugno 1994 la magistratura milanese dispone l’arresto del faccendiere romano Giancarlo Rossi. Rossi è l’intestatario occulto del conto corrente cifrato FF 2927, presso
“L’arresto dell’agente di cambio romano Giancarlo Rossi…sta creando più di un imbarazzo al governo Berlusconi. E’ stato lo stesso operatore di Borsa a rivelare i suoi rapporti con Cesare Previti, ministro della Difesa…al sostituto procuratore Antonio Di Pietro. Previti ha replicato dicendo di avere visto Rossi occasionalmente e di non aver mai fatto affari con lui. La realtà è un po’ più complicata. Stefano Previti, figlio del ministro, avvocato come il padre, ha lavorato per il recupero crediti della Fincom, controllata fino al 1989 dalla famiglia Lefebvre d’Ovidio, e dallo stesso Rossi attraverso una quota minoritaria intestata alla sorella Stefania. C’è di più. In occasione delle ultime elezioni politiche Rossi ha svolto, durante la campagna elettorale. attività a favore di due candidati. Uno è il suo ex socio e agente di cambio Fabrizio Sacerdoti, già segretario della Dc romana quando Vittorio Sbardella ne era il leader incontrastato. Sacerdoti è stato eletto deputato nella lista “Forza Italia”. L’altro candidato di Rossi era proprio Previti. Lo studio legale dell’attuale ministro della Difesa era uno dei recapiti ufficiali di Rossi a Roma…Le relazioni Rossi/Previti, per quanto inquadrate in un rapporto fra professionisti, non sembrano proprio occasionali. E’ stato Rossi, per esempio, a presentare Previti a Fabrizio Cerina, titolare del gruppo bancario/finanziario in liquidazione Attel. E alla luce di alcune circostanze, non sono casuali i rapporti fra società di Rossi e società appartenenti al gruppo Fininvest. Nel dicembre 1993
Nel settembre 1994 la cupola berlusconiana decide di dotare il partito-azienda “Forza Italia” di un segretario politico. Candidato naturale sarebbe il suo creatore, Marcello Dell’Utri. Ma costui è un pochino bruciato per via di inchieste in cui è coinvolto e per via di certe frequentazioni mafiose. Allora il segretario non può essere che l’altra entità della Fininvest, l’avvocato e ministro Cesare Previti. Eletto con due soli voti: quello di Berlusconi e quello di Dell’Utri. Previti era il terzo uomo. Democrazia avanzata.
Dopo che il 21 novembre ’94 viene coinvolto nelle indagini sulle tangenti alla Guardia di Finanza, il 22 dicembre successivo Berlusconi e il suo governo è costretto a dimettersi per via di una mozione di sfiducia della Lega Nord, che non condivide più la sua politica sociale e preme per la risoluzione del conflitti di interessi. Bisogna dire che all’epoca i leghisti avevano ancora un’etica. Nei quasi nove mesi di governo, un parto in piena regola, Berlusconi con i suoi sodali non lascia certamente tracce memorabili. Aveva appena cominciato a farsi gli affari propri. Infatti il suo ministro del Tesoro, il commercialista Tremonti, aveva fatto passare una legge che prevedeva la detassazione degli utili reinvestiti, e
Ma nel suo periodo è riuscito a ribaltare la politica estera dell’Italia nei Balcani. Quanto prima era pericolosamente sbilanciata verso Zagabria, con lui si sbilancia altrettanto pericolosamente verso Belgrado. Una scelta decisamente spregiudicata, proprio negli anni in cui le truppe regolari e irregolari di Milosevic massacravano migliaia di musulmani. Praticamente si era in flagranza di reato. Malgrado l’embargo, le relazioni italo-jugoslave erano amichevoli, tanto che una delegazione serba andò a Torino, e il ministro degli Esteri Antonio Martino era il benvenuto a Belgrado, dove la stampa governativa gli attribuisce frasi impegnative: “Il commercio cancellerà le tracce della guerra”. Per il governo Berlusconi Milosevic non è il problema, ma la soluzione. Si trattava, come dice Martino, di aiutarlo “ad uscire dall’isolamento. Corre rischi ad opera dei falchi del suo Paese. Senza la cooperazione internazionale sarebbe in pericolo”. Dobbiamo dire già fin d’ora che Antonio Martino ha due particolarità: la prima riguarda la sua mancata affiliazione alla P2. La domanda firmata era tra le carte sequestrate a Gelli, che non aveva fatto in tempo a regolarizzarlo La seconda particolarità è quella di detenere il Guinnes dei primati per le previsioni sbagliate.
In quel clima molto collaborativo,
Nel 1996 Berlusconi, nel frattempo indagato anche per storie di mafia, falso in bilancio, frode fiscale e, soprattutto, corruzione giudiziaria in compagnia del fedele avvocato Cesare Previti, si ricandida alle elezioni politiche. Ma stavolta non gli va per niente bene, perché viene sconfitto dal candidato del centrosinistra, dell’Ulivo, Romano Prodi. Insieme ai vari guai giudiziari deve beccarsi anche la violenta ostilità della Lega di Bossi, che aveva già da un po’ cominciato a sparare da tutte le posizioni contro l’ex capoccia.
Il 6 maggio 1997 Mario Borghezio, leghista nazista (non è una invenzione, è vero), rivolge queste domande ai comandanti della Gdf chiamati a informare
Su
Prendiamo con cautela tale lettera, che Max Parisi ha invece preso molto sul serio. Non tanto per il fatto che c’è di mezzo Andreotti, in fin dei conti è pacifico che Azzaletto fosse un suo uomo.. Ma
Max Parisi è molto prolifico nelle sue inchieste quasi settimanali contro Silvio Berlusconi.. Su
Ed è una calda giornata di agosto del 1998 quando la quiete della Banca Popolare di Lodi viene turbata da una visita inattesa. Un gruppo di uomini della Dia venuti da Palermo chiedono di vedere gli archivi della Banca Rasini (non è mai troppo tardi, diceva il maestro Manzi). Cercano su incarico del pool antimafia, nell’ambito dell’inchiesta a carico di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri (inchiesta poi archiviata per Berlusconi, ma proseguita fino alla condanna per Dell’Utri) per concorso esterno in associazione mafiosa e riciclaggio di denaro della mafia, i conti correnti di Silvio Berlusconi e tutta la documentazione relativa alle 25 “Holding Italiana” che custodiscono il capitale della Fininvest. I pm Antonio Ingroia e Nico Gozzo hanno spedito
Alla richiesta di vedere le carte della Rasini l’ufficio legale della Popolare di Lodi cade, o finge di cadere, dalle nuvole: “Della Rasini e dei conti Fininvest non ci risulta nulla”. A quel punto il consulente della Procura Francesco Giuffrida, vicedirettore della Banca d’Italia a Palermo, tira fuori un estratto conto dimostrante l’esistenza di alcuni conti correnti intestati a Berlusconi o riferibili alla Fininvest presso
Purtroppo gli archivi sono ampiamente incompleti, con la conseguenza che
Ma chi è Gian Piero Fiorani? Fiorani entra nella Bpl nel 1978 con un semplice diploma di ragioneria, per laurearsi solo nel
Nel 2000
Sulle elezioni sono da segnalare tre punti. Il primo è che, per effetto del sistema maggioritario, pur essendo l’Italia praticamente divisa a metà, il polo ottiene la più grande maggioranza che si sia mai vista nel Parlamento italiano, sia alla Camera che al Senato. Il secondo è il risultato delle elezioni in Sicilia: 61 seggi a zero per il polo! Se c’era bisogno di qualche dimostrazione su chi la mafia appoggia, eccola! Il terzo vede uno già visto in precedenza, Gianstefano Frigerio, condannato definitivamente ad oltre 6 anni che, anziché in Parlamento, viene dirottato a San Vittore. Ma niente paura, un magistrato di buon cuore, anziché in galera, lo destina a lavori socialmente utili. E quale è il lavoro socialmente utile? Il Parlamento dove è stato eletto! Così la legislatura avrà un tizio a cui sono stati negati i diritti civili, non potrà votare né per le politiche, né per le amministrative, né per le comunali, ma le leggi del suo governo si! Però non si può certo dire che il tizio non sia in buona compagnia. Infatti sono presenti nella nuova maggioranza più di un centinaio di personaggi con qualche problema a vario titolo con la giustizia, per lo più nel partito-azienda di Forza Italia. Ma è anche da ricordare lo strepitoso numero di avvocati, in maggioranza lì a difesa di Silvio Berlusconi.
Il 19, 20, 21 e 22 luglio 2001 sono le giornate del G8 a Genova. Un fascicolo riservato di 36 pagine compilato dalla Questura di Genova nei primi giorni di luglio, sotto il titolo “Informazioni sul fronte della protesta anti-G8”, e reso pubblico dal quotidiano genovese “il Secolo XIX” qualche giorno dopo il G8, comprendeva una analisi dei vari gruppi che dovevano partecipare alle manifestazioni. Individuati come intenzionati a provocare incidenti e disordini sia gruppi vicini alle diverse realtà dei centri sociali italiani (definiti Blocco Blu e Blocco Giallo), e ai movimenti anarchici (definiti Blocco Nero), sia gruppi legati alle organizzazioni di destra. Queste ultime avrebbero potuto infiltrarsi tra i gruppi delle tute bianche, confondendosi con i manifestanti anti-G8, per provocare incidenti colpendo i rappresentanti delle forze dell’ordine, scopo screditare l’area antagonista di sinistra contro il G8. Il fascicolo elencava anche alcune delle possibili azioni dei manifestanti, tra cui: lancio di “frutta con all’interno lamette di rasoio”, o di “letame e pesce marcio” tramite catapulte, “blocchi stradali e ferroviari”, lancio di “migliaia di palloncini con sangue umano”, uso di “fionde tipo “falcon” per lanciare a distanza biglie di vetro e bulloni allo scopo di perforare gli scudi di protezione e i parabrezza dei mezzi in uso alle forze dell’ordine limitandone la capacità di movimento”, lancio di copertoni in fiamme, rapimento di esponenti delle forze dell’ordine e uso di auto con targhe dei Carabinieri falsificate per avere accesso i varchi della zona rossa. Alquanto anomalo il riferimento nel dossier alle strategie non violente. Messa in guardia le forze dell’ordine da una serie di iniziative non violente e del tutte legittime, come il “costituire gruppi con conoscenze giuridiche per affrontare tutte le problematiche relative ad eventuali problemi giudiziari e legali con le Forze dell’ordine, munirsi di computer portatili e radio ricetrasmittenti nonché di telecamere per trasmettere in tempo reale nel circuito Internet le immagini della protesta, o affittare, anche per poche ore, un canale satellitare per divulgare la protesta a livello mondiale”. Per quanto la presenza di gruppi di destra, il Viminale dichiarerà, in risposta ad articoli di stampa, che durante il G8 le forze di Polizia di Genova non avevano rilevato “la presenza di provocatori o estremisti di destra, né nel corso delle manifestazioni, né tra gli arrestati coinvolti nei disordini”. Però, alla fine, non sarà individuato nessun appartenente a questi gruppi, né di sinistra, né anarchici, né di destra.
Le misure di sicurezza prevedono una zona gialla, ad accesso limitato, ed una zona rossa assolutamente riservata, definita da qualcuno “Fortezza Genova”, accessibile ai soli residenti attraverso un numero limitato di varchi. Poste sotto controllo strade e autostrade; chiusi il porto, le stazioni ferroviarie e l’Aeroporto di Genova-Sestri Ponente, dove vengono installate batterie di missili terra-aria, per via delle segnalazioni dei servizi segreti del rischio di attentati via aerea. Sigillati anche i tobini delle fognature nelle adiacenza della zona rossa, oltre ad apparecchiature in grado di disabilitare temporaneamente i telefoni cellulari. Nota particolare che riguarda il presidente del consiglio Silvio Berlusconi il quale, dobbiamo dirlo, aveva ricevuto in dono il G8 di Genova dal predente governo di centrosinistra, anche se poi ci ha messo molto, troppo, del suo. Per far vedere agli ospiti le bellezze di Genova, proibisce le lenzuola appese nei vicoli, che sarebbero state la normalità, e si supera con gli alberi di limoni. Non essendo la stagione, riempie gli alberi spogli di limoni di plastica, quasi fosse un albero di Natale. Megalomania berlusconiana. Ma fosse solo questo…
Giovedì 19 luglio si svolge una pacifica manifestazione di rivendicazione dei diritti degli extracomunitari e dei migranti, a cui partecipano moltissimi gruppi stranieri, cittadini genovesi, rappresentanti della Rete Lilliput e un piccolo gruppo di anarchici in coda al corteo. Corteo stimato in circa 50.000 persone.
Venerdì 29 luglio, una giornata nera. Sono previste diverse manifestazioni in varie zone della città. Prima dell’inizio delle manifestazioni, visti in alcune zone del centro gruppi di manifestanti anarchici, di estrema sinistra ed estrema destra, intenti a procurarsi pietre e benzina, danneggiando alcuni distributori, per fabbricare bombe molotov. Costoro si sono mossi per tutta la durata del G8 quasi sempre indisturbati, con rari interventi delle forze dell’ordine tardivi ed inefficaci, così che i potenziali autori di azione violente riescono spesso a disperdersi ed a confondersi con i manifestanti. La presidente della Provincia di Genova, Marta Vincenti, segnala, sia attraverso i canali ufficiali, sia nelle interviste nelle dirette televisive, la presenza di uno di questi gruppi sospetti, circa 300 persone, in un edificio scolastico di proprietà della Provincia nella zona di Quarto. Edificio che era stato assegnato al Genoa Social Forum e ai Cobas per ospitare i manifestanti venuti da fuori città, ma i pochi che sono già entrati vengono scacciati dall’arrivo dei primi “Black Bloc”. Le stesse segnalazioni provengono, come scoperto poi nei processi, anche da cittadini residenti nella zona e da diversi manifestanti. Un controllo da parte della Polizia si risolve in un nulla di fatto. Il capo gabinetto della Questura di Genova si giustificherà sostenendo che il venerdì gli agenti erano impegnati negli scontri, per cui l’organico non era sufficiente, mentre il sabato la vicinanza dell’edificio al corteo avrebbe garantito la protezione della folla in caso di intervento. Black Bloc non significa l’appartenenza a quel gruppo, tanto temuto. Significa, piuttosto, altri gruppi che usano la tattica dei Black Bloc, tanto più che nessuno di questi del “Blocco Nero”, significato di Black Bloc, risulterà aver avuto a che fare con il G8. Partecipazione smentita pure dagli stessi Black Bloc che, per smarcarsi dalla cattiva fama, cambieranno il nome in “Antrax Bloc, Blocco Antrace.
Nel primo pomeriggio del 29 manifestanti violenti, possibili simpatizzanti della tecnica del black bloc incominciano ad inserirsi nei cortei causando lunghi e violenti scontri con uso di bastoni, molotov e sassi. Per sfuggire alle cariche delle forze dell’ordine si disperdono tra la folla dei manifestanti pacifici, con scontri tra questi ultimi, intenzionati a mantenere la manifestazione pacifica, e i violenti. Gli scontri aumentano con il passare delle ore, ma il comportamento delle forze dell’ordine in più di una occasione lascia alquanto perplessi. Segnalati individui con il volto coperto e con abbigliamento scuro, simile a quello usato dai gruppi violenti, discorrere tranquillamente con poliziotti, carabinieri ed agenti dei servizi di sicurezza, persino all’interno del perimetro delle caserme. 300 carabinieri avanzano a piedi verso piazza Giusti, dove un gruppo di violenti sta compiendo vandalismi contro un distributore, un supermercato, una banca e arredi urbani. Secondo le testimonianze dei residenti la polizia, benché sollecitata, non interviene perché l’ordine era limitarsi a passare le segnalazione alla centrale. I carabinieri invece arrivano, ma sbagliano strada, e finiscono dove passa il corteo autorizzato, in testa al quale il gruppo delle “Tute bianche”. Secondo la loro versione, i carabinieri vengono accolti da un fitto lancio di sassi, ma secondo diversi giornalisti presenti i sassi sono solo due o tre, lanciati da un gruppetto estraneo al corteo. Ma i carabinieri caricano per alcune centinaia di metri la testa del corteo autorizzato, bersaglio di numerosi lanci di lacrimogeni. Dalle registrazioni provenienti dalla Questura, come risulterà al processo, si sentono sia un operatore urlare: “Nooo!...Hanno caricato le tute bianche porco giuda! Loro dovevano andare in piazza Giusti, non verso Tolemaide…Hanno caricato le tute bianche che dovevano arrivare a piazza Verdi”, sia le ripetute richieste del dirigente del Commissariato di Genova, responsabile della sicurezza del corteo, relative al far ritirare il gruppo dei carabinieri dalla zona per evitare di fare da tappo e bloccare il corteo in arrivo. Dopo la carica i carabinieri cominciano a ripiegare per permettere il passaggio del corteo ma, a quel punto, manifestanti pacifici, unitamente ai violenti giunti, assaltano e poi danno fuoco a un mezzo blindato in panne, oltre ad incendiare cassonetti dell’immondizia e le automobili, utilizzandoli come barricate e compiendo altri atti vandalici. In uno scontro i carabinieri riescono a disperdere gli attaccanti andando giù molto pesante. In un altro lo scontro avviene tra i manifestanti e alcune decine di carabinieri, circa 70 Questi ultimi, però, non riescono a disperdere gli altri, ed allora cominciano a retrocedere, finendo alla fine in piazza Alimonda, dove si prepara il peggio della giornata.
Nella ritirata i carabinieri sono seguiti da due Land Rover Defender. Il capitano del reparto Claudio Cappello dirà poi ai processi: “Vi fu un arretramento disordinato. Io non mi ero reso conto che dietro di noi vi erano anche le due Land Rover, anche perché non c’era alcun motivo operativo.”. Arrivando in piazza Alimonda uno dei due Defender dei carabinieri, con a bordo l’autista Filippo Cavataio di 23 anni, il carabiniere ausiliario di leva Mario Placanica di 20 anni e il coetaneo e collega Dario Raffone, resta temporaneamente bloccato di fronte ad un bidone dei rifiuti mentre sta cercando di attraversare la piazza. Secondo la testimonianza dell’autista la causa fu una manovra errata dell’altro mezzo e, sempre a suo dire, per l’asserito spegnimento del motore. Una quindicina di persone che stavano inseguendo i carabinieri attaccano il mezzo, che viene danneggiato a tergo e dal lato destro con pietre, bastoni, una palanchina di legno e un estintore. I carabinieri Placanica e Raffone vengono feriti al viso da pietre. Uno degli aggressori raccoglie un estintore e lo scaglia contro il mezzo, colpendo l’intelaiatura del finestrino della porta posteriore, restando appoggiato tra la carrozzeria e la ruota di scorta. Dall’interno del Defender uno degli occupanti colpisce con un calcio l’estintore, facendolo rotolare ad alcuni metri di distanza in direzione di un manifestante con il volto coperto da un passamontagna. Questi solleva da terra l’estintore e si dirige verso la parte posteriore del mezzo con l’atto di lanciarlo, ma viene colpito da uno sparo. Si saprà poi che chi ha sparato è il carabiniere Placanica, secondo il quale avrebbe sparato due colpi in aria. Uno di questi colpi venne effettivamente trovato nel muro a destra della Chiesa in piazza Alimonda, ma diversi mesi dopo.
Gli spari spingono gli aggressori ad allontanarsi. Il Defender improvvisamente riparte, passando due volte sul corpo del ragazzo colpito, che impiegherà diversi minuti prima di morire. I carabinieri, un gruppo dei quali si trovava a una decina di metri a lato, riprendono la piazza. Il fotoreporter Eligio Paoni, che sta fotografando il corpo dell’ucciso, che risulterà solo più tardi, grazie al telefonino, essere Carlo Giuliani, viene malmenato, con ferite alla testa e frattura di una mano, dalle forze dell’ordine intervenute; sequestrata la macchina fotografica e costretto a consegnare la pellicola che aveva cercato di nascondere. Anche il prete della chiesa di Nostra Signore del Rimedio, che tentava di benedire il corpo del Giuliani, non viene lasciato avvicinare. Qualcuno, mentre la zona è completamente circondata dalle forze dell’ordina, mette un sasso a fianco della testa di Giuliani dopo averlo colpito procurandogli una profonda ferita sulla fronte. L’intenzione è quella di far pensare che il Giuliani è morto per una sassata. Circa mezz’ora dopo la morte di Carlo Giuliani, alcuni giornalisti di “Libero” filmano il vicequestore Adriano Lauro mentre insegue un manifestante urlando, davanti alle telecamere di Mediaset prontamente accorse sul posto con Renato Farina (uno che ritroveremo più avanti): “Bastardo! Lo hai ucciso tu, lo hai ucciso! Bastardo! Tu l’hai ucciso, col tuo sasso, pezzo di merda! Col tuo sasso l’hai ucciso! Prendetelo!”. Saranno le riprese e le fotografie di altri che sono riusciti a riprendere la zona, a smentire il vicequestore, chiaramente e volutamente in mala fede, ad uso, ma guarda un po’, di “qualcuno”. Ricordiamo anche il colloquio, emerso dalle registrazioni al processo, tra un poliziotto ed una poliziotta, con questa che urla al microfono, dopo la notizia della morte del Giuliani, “Uno a zero per noi!”
Sui fatti di piazza Alimonda non riteniamo, come poi è stato quasi celebrato, Carlo Giuliani un eroe o un martire. Il fatto che avesse un passamontagna significa che era lì per creare incidenti, ed a noi quelli che vanno mascherati nei cortei non ci piacciono per niente. Ma, detto questo, un ragazzo è morto, e non doveva, e che faceva il Defender in mezzo la piazza? Sarà pur vero che i fatti si sono svolti nello spazio di pochi minuti, ma i carabinieri ripresi a lato della piazza che guardavano quasi tranquilli, e il Defender che parte immediatamente subito dopo gli spari, non sono proprio una cosa normale. Non è che cercavano il capro espiatorio? Ma la giornata non è ancora finita. Nel pomeriggio un gruppo di persone vestite di nero cerca di infiltrarsi nel corteo principale, ma vengono bloccati dal cordone di sicurezza del corteo. Dopo alcuni minuti di tensione, le forze dell’ordine iniziano un lancio di lacrimogeni verso i contendenti. I presunti Black Bloc fuggono, mentre una violenta carica colpisce i manifestanti pacifici provocando decine di feriti. Mesi dopo il ministro dell’Interno Claudio Scajola (poi noto per un “rompicoglioni” dato a un morto ammazzato, Marco Biagi) ammetterà di aver ordinato alle forze di polizia, nella serata del 20, dopo gli scontri e la morte di Carlo Giuliani, di sparare sui manifestanti nel caso avessero sfondato la zona rossa. Affermazione che poi ritratterà, mentre i funzionari di polizia e carabinieri presenti a Genova dissero che in ogni caso si sarebbero rifiutati di eseguire l’ordine, in quanto “manifestamente criminoso”. Il fatto è che quello che successe il giorno dopo non fu molto distante dallo sparare.
Sabato 21 luglio è la giornata della manifestazione principale, con un corteo di circa 300 mila persone che dovrebbe svolgersi lungo corso Italia. Come già successo il giorno prima, gruppetti di manifestanti violenti si mischiano a quelli pacifici provocando scontri, incendi, distruzione di auto, banche e negozi. Già dal mattino un gruppo di alcune decine di manifestanti, molti dei quali vestiti di nero, inizia a distruggere auto e vetrine, assalendo un chiosco. Diversi residenti fanno numerose telefonate al 113, senza che però si verifichi un solo intervento dalle forze di polizia, tra l’altro poco distanti. Il vicequestore aggiunto Pasquale Guaglione, aggregato presso
Mentre il corteo prosegue, un gruppo di circa 400 persone, secondo la valutazione del Ministero degli Interni, si stacca da vari punti e inizia a fronteggiare le forze di polizia schierate davanti a piazzale Kennedy, accatastando bidoni, transenne e altro materiale per fare barricate. Per quasi un’ora non succede quasi niente. Quelli che hanno creato il blocco si limitano a slogan verbali contro la polizia, salvo qualche lancio di oggetti, in risposta ai quali vengono effettuati alcuni lanci di lacrimogeni. Nel mentre il corteo continua a fluire, salvo qualche rallentamento, arrivano nuovamente alcuni gruppi di manifestanti vestiti di nero che iniziano un fitto lancio di oggetti contro la polizia, oltre a rovesciare un’auto e rompere le poche vetrine ancora rimaste in piedi. Questo gruppo cerca anche di inserirsi nel corteo, ma viene respinto dal servizio d’ordine di quelli che stanno sfilando. Corteo che devia dal percorso per evitare il fumo dei lacrimogeni. Infatti, dopo alcune decine di minuti, erano iniziate le cariche della polizia con un fitto lancio di lacrimogeni. I gruppi violenti spariscono, e le cariche della polizia vanno a colpire il corteo pacifico e autorizzato, spezzandolo in due. Il secondo spezzone del corteo pacifico è costretto di fatto a sciogliersi, mentre la parte finale del primo spezzone si disperde, inseguita dalle forze dell’ordine che picchiano violentemente i dimostranti. Alla fine saranno centinaia i feriti tra i dimostranti pacifici, compresi anche persone anziane, e alcune decine di arresti. La costante di queste giornate è picchiare, e sodo, i deboli, a lasciare stare i violenti. Verso le 16, al termine di una carica in corso Italia, vengono trovate dal vicequestore aggiunto Pasquale Guaglione, quello di cui sopra, due molotov in una siepe di una strada laterale, che va a consegnare a un suo superiore, il generale Valerio Donnini che, non essendo un ufficiale di polizia giudiziaria, non è tenuto a verbalizzare il ritrovamento. Le due molotov le ritroveremo tra poco. Anche stavolta, durante gli scontri, filmati e foto amatoriali vanno a mostrare persone in borghese o con abiti scuri parlare con esponenti delle forze dell’ordine, per poi tornare nella zona degli scontri.
La scuola Diaz e l’adiacente scuola Pascoli, nel quartiere di Albaro, erano state concesse dal Comune di Genova al Genoa Social Forum, in un primo tempo come sede del loro media center, poi anche come dormitori. Verso le 23 alla Diaz stanno dormendo 93 persone tra ragazzi e giornalisti in gran parte stranieri. Con la scusante di una perquisizione, in quanto ci sarebbero stati dei lanci di pietre poco tempo prima contro mezzi degli agenti (ma nessun rapporto riuscirà a confermare cosa, dove e quando questo era successo, visto che differivano uno dall’altro), un reparto della polizia in piena tenuta antisommossa (per una perquisizione?) entra nella scuola e comincia il massacro. Alla fine decine di persone vengono portate fuori in barella. Dei 63 feriti, che umoristicamente
Ma non è finita. Le persone fermate durante i giorni della manifestazione erano state portate in gran parte nella caserma di Genova Bolzaneto, approntata come centro per l’identificazione dei fermati, che saranno poi trasferite in diverse carceri italiane. Secondo il rapporto dell’ispettore Montanaro pochi giorni dopo il vertice, nei giorni della manifestazione transitarono per la caserma 240 persone, delle quali
Il ministro della Giustizia, il leghista Roberto Castelli, era stato in visita alla caserma nelle stesse ore in cui succedeva quel finimondo ma, come le tre scimiette che ben rappresentano la mafia con il non vedo, non sento, non parlo, dichiarerà di non aver visto nulla. Per la verità la stessa cosa venne detta anche dal magistrato antimafia Alfonso Sabella, che durante il vertice ricopriva il ruolo di ispettore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ed era responsabile delle carceri provvisorie di Bolzaneto e San Giuliano. Ma pochi giorni dopo questi ammise la possibilità che ci fossero state violenze da parte delle forze dell’ordine contro i manifestanti arrestati, ma appunto escludeva che queste fossero state commesse da parte di quelle che erano a Bolzaneto sotto la sua responsabilità. Da rilevare, inoltre, il giro ai vari comandi, e poi lo stazionamento nella sala operativa della Questura genovese del vicepresidente del consiglio Gianfranco Fini. Diversi giornalisti e politici misero la sua presenza in relazione ai molti abusi compiuti dalle forze dell’ordine. Siamo dell’idea anche noi che sia avvenuto proprio così. D’altronde: manganello e moschetto, fascista perfetto!
Domenica 23 luglio Genova si lecca le ferite. Finito il G8 si contano i danni, e sono tanti, ma a distanza di anni la maggioranza dei responsabili non sono stati identificati, e la maggior parte dei fermati nei giorni degli scontri sono poi risultati estranei ai fatti, o non sono state individuate responsabilità specifiche. A distanza di anni del G8 andranno avanti due processi: uno contro i presunti responsabili, 25, degli incidenti, l’altro contro le forze dell’ordine per le violenze alla Diaz e a Bolzaneto. Noi siamo pienamente favorevoli a che vengano puniti gli autori degli incidenti, ma sarebbe interessante capire quanti erano gli utili idioti che amano andare mascherati alle manifestazioni con il solo scopo di sfasciare tutto quello che possono, e quanti erano effettivamente i provocatori. Cioè quelli che erano lì per provocare gli incidenti per poter accusare quelli del Genoa Social Forum o, ancora meglio, la sinistra. Ma siamo anche pienamente favorevoli a che vengano punti, e severamente, i responsabili delle violenze contro delle persone indifese. Il comportamento delle forze dell’ordine è stato a dir poco ambiguo, quanto meno all’inizio. Ambiguo perché ha lasciato troppa gente fare i propri comodi senza intervenire, e quando interveniva se la prendeva con quelli che non ci entravano. La situazione è poi trascesa con la morte di Carlo Giuliani, e al sabato si è scatenata la macelleria messicana. Ci viene un sospetto piuttosto pesante: era tutto preparato? I famosi Black Bloc che i servizi avevano annunciato, e che tutti aspettavano, sono veramente arrivati? O, a giudicare da certe scene, erano solo finti Black Bloc d’accordo con le forze dell’ordine? Che, in tutta onestà, se fosse così, sarebbero da chiamare forze del disordine.
E il presidente del consiglio Silvio Berlusconi? Alla notizia del blitz notturno della polizia alla Diaz ha subito attaccato il Genoa Social Forum: “E’ la prova che coprivano i violenti”. Poi ha detto di avere avuto notizie dal ministro dell’Interno Scajola “tendenti a chiarire che non c’era distinzione tra i violenti ed esponenti del Ggf che avrebbero favorito e coperto questa loro presenza”. Ovvio che l’uscita ha mandato su tutte le furie quelli del Genoa Global Forum. Peccato per il presidente del consiglio che questa sicurezza sia poi stata prontamente smentita dalla magistratura. Comunque lui è soddisfatto: “Abbiamo lavorato bene”, per poi ringraziare le forze dell’ordine. Ad un giovane di questi che gli che gli chiede aumenti di stipendio risponde: “Ci penseremo più avanti”. Certo, potremmo dire, il lavoro sporco ormai lo avevano fatto. Comunque la cosa non è certo passata sotto silenzio negli altri paesi. Molti paesi occidentali parlano di repressione cilena. Due paesi africani chiedono conto delle violenze sui manifestanti. Molto dura nella sua sintesi, la dichiarazione di Amnesty International: “La più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale”.
Delle porcherie alla Diaz e a Bolzaneto quelli del governo non sanno niente, poverini. Infatti sono molto più occupati a fare gli affari del presidente del consiglio. Questa tendenza del governo provoca l’interesse di “The Economist”, che il 18 agosto 2001 parla in un articolo delle leggi su misura che Silvio Berlusconi ha cominciato a far approvare in Italia. Delle nuove norme sul falso in bilancio scrive: “Il disegno di legge farebbe vergognare anche gli elettori di una Repubblica delle banane”. Ma è solo l’inizio, perché dodici giorni dopo l’articolo del quotidiano inglese abbiamo il ministro delle infrastrutture Lunardi che declama una sacrosante verità (ovviamente per il governo di cui fa parte): mafia e camorra ci sono sempre state, e ci si deve convivere. Infatti, per fare un favore a quelli con cui si deve convivere, a settembre il governo ritira le scorte ai magistrati antimafia, corruzione e terrorismo. E prima della fine del 2001 arriva pure lo scoop di un giornale berlusconiano: vertice segreto tra Ilda Boccassini e Carla Del Ponte a Lugano per fregare Berlusconi.
Raccontare i cinque anni del governo Berlusconi sarebbe molto, molto lungo. Noi ci limiteremo ad episodi molto interessanti che indicano come il clan Berlusconi agisce anche quando è al governo. Per i cinque anni ci limitiamo ad una sintesi, perfettamente descritta da Nando Dalla Chiesa.
“Ho visto approvare in Parlamento la legge sul falso in bilancio il giorno dopo l’11 settembre. Di corsa, per onorare con il nostro lavoro, così ci venne detto, i morti di New York.
Ho visto la commissione giustizia del Senato prolungare i suoi lavori dopo la mezzanotte per tre leggi in cinque anni: per il falso in bilancio, per
Ho visto aprire l’ultima legislatura con una legge ad personam, quella che abolisce l’imposta di successione sui patrimoni più grandi. E l’ho vista chiudere con una legge ad personam, quella che abolisce l’appellabilità delle sentenze di assoluzione.
Ho visto il Parlamento decidere quali magistrati possono o non possono restare in esercizio, alzando e abbassando l’età pensionabile secondo le convenienze: fuori Borrelli, dentro Carnevale.
Ho visto il Parlamento decidere quali magistrati possono dirigere gli uffici giudiziari più delicati. Insomma, ho visto il Parlamento scegliere i giudici.
Ho visto più di mezzo Senato applaudire in piedi l’appoggio alla guerra preventiva in Iraq. Ho visto la standing ovation della maggioranza e i sorrisi di festa, in attesa dei bombardamenti del giorno dopo. Ho visto sbeffeggiare le senatrici che si battevano per le quote rosa. Le ho viste sommerse dagli sberleffi della maggioranza. Le ho sentite chiamare “vacca” e “gallina”.
Ho visto togliere ai giudici di pace la competenza sugli incidenti stradali più gravi. Lavoravano troppo velocemente creando problemi alle assicurazioni. Anche alla Mediolanum. Ho visto portare nel Parlamento repubblicano una legge per equiparare le brigate nere di Salò ai combattenti delle forze armate e ai partigiani.
Ho visto violare il regolamento del Senato anche sei volte in due giorni. Ho visto violare
Ho visto censurare o bloccare negli uffici interrogazioni critiche verso il governo o verso esponenti della maggioranza; ho visto funzionari solerti mutilare diritti costituzionali dei parlamentari. Ho visto rifare mezza Costituzione come niente, da personaggi senza storia. Per liberare da ogni controllo di garanzia e da ogni contrappeso il potere di chi vince le elezioni. Per mettere lo Stato ai piedi dell’uomo più ricco e potente del paese.
Ho visto barattare in aula l’unità del Paese con gli interessi televisivi del Capo del Governo. Ho visto un senatore votare per cinque, per dare alla sua maggioranza il numero legale. Ho visto tollerare anche quindici voti di assenti per volta. Ho visto stabilire il tempo massimo di un giorno per discutere in seconda votazione la riforma di mezza Costituzione.
Ho visto fischiare in aula il Capo dello Stato mentre il presidente del Senato leggeva il testo del rinvio alle Camere della legge di riforma dell’ordinamento giudiziario. Ho visto scritto nella relazione ufficiale della commissione antimafia che la mafia non porta voti, che il controllo del voto da parte di Cosa Nostra è “uno dei miti più a lungo e pervicacemente sostenuti”. Ho visto Giovanni Falcone commemorato sull’autostrada per Punta Raisi, località Cinisi, da un ministro che aveva sostenuto che dobbiamo convivere con la mafia. Ho visto un ministro definire il carcere di Cagliari un albergo a cinque stelle pochi giorni prima che vi si uccidessero due detenuti.
Ho visto leggi importanti e sulle quali era stata annunciata una dura opposizione votate in Senato alla presenza di poche decine di esponenti della minoranza. Ho visto decine di senatori dell’opposizione lavorare seriamente ed essere trattati come incapaci o complici del governo. Ho visto sospetti ingiusti. Ho visto fiducie ingiuste. Ho visto uomini dello Stato oggetto di insolenze e di accuse sanguinose, grazie ad un uso prepotente della immunità parlamentare.
Ho visto chiamare tutti i manifestanti di Genova violenti e terroristi e assicurare ufficialmente che nel carcere di Bolzaneto non ci furono violenze. Ho visto negare una commissione d’inchiesta su Genova per non interferire con il lavoro della magistratura. Ho visto dimenticare questo principio per istituire la commissione Telekom Serbia.
Ho visto ridere in faccia alla richiesta di maternità o paternità assistite di persone non felici. Ho visto esibire i fazzoletti padani a un metro dal tricolore sulle bare nei funerali di Stato. Ho visto prolungare la durata del Parlamento per uso personale. Per ottenere l’impunità in un processo, per monopolizzare le televisioni. Così ho visto sfregiare, nel mio Paese, il più grande simbolo della democrazia”.
Dopo l’eccellente sintesi di Nando Dalla Chiesa, che ringraziamo, passiamo ai fatti corposi. Il primo può sembrare da poco, ma da poco non è, anzi. Il primo gennaio 2002 c’è il passaggio dalla lira all’euro. L’euro era stato fortemente voluto da Romano Prodi e Carlo Azeglio Ciampi. Il valore di un euro corrisponde a 1936,27 lire, che era poi il cambio tra lira e marco tedesco al momento in cui vennero decisi i valori di cambio. Il cav. Berlusconi dirà più volte che il cambio avrebbe dovuto corrispondere a 1.500 lire, dimostrando una colossale ignoranza in materia o, più realmente, una menzogna per non ammettere le proprie colpe. Già, perché da tempo erano stati predisposti gli uffici per il controllo, bastava solo attivarli al momento del cambio ufficiale della moneta. Sempre il cav. Berlusconi dirà più volte che è colpa dell’euro se ci sono stati aumenti dei prezzi, salvo ogni tanto uscire con affermazioni secondo le quali l’euro ci aveva protetto, l’euro ci aveva salvati. Fino, ovviamente, a tornare a dire il contrario. Vogliamo ricordare anche Antonio Martino, detentore del Guinnes dei primati per le previsioni errate. Secondo costui, infatti, l’euro non aveva un futuro. Sta di fatto che molti, moltissimi addetti pensano bene di applicare un cambio particolare. Anziché, per esempio, fare l’equivalente di 10.000 lire 5 euro, o un accettabilissimo 5,20, stante il fatto che la cifra esatta sarebbe 5,16, pensa bene di arrotondare alla grande, facendo passare che il cambio di 10.000 lire corrisponde a 10 euro Questa particolare pratica diventa molto diffusa, il tutto senza l’ombra di un controllo. Già, perché gli uffici preposti non sono mai stati attivati dal governo Berlusconi. Il fatto che poi il clan Berlusconi, quando gli si ricorda il fatto, continui a dare la colpa a Prodi, basta soltanto ricordare qualche data. Il passaggio all’euro è avvenuto il 1° gennaio 2002, come abbiamo detto. Da più di sette mesi c’era un governo. Sette mesi sono più che abbastanza, bastava solo attivare i controlli. Non ci risulta proprio che al governo di fosse Romano Prodi. Al governo c’e, c’era, il governo del cosiddetto polo delle libertà. Infatti dovevano sentirsi talmente liberi da dimenticarsi anche i controlli.
E’ il 18 aprile del 2002 quando da Sofia, Bulgaria, il posto ideale diremmo, nel corso di una conferenza stampa, Silvio Berlusconi così dichiara: “L’uso che Biagi, come si chiama quell’altro…? Santoro, ma l’altro…Luttazzi, hanno fatto della televisione pubblica, pagata coi soldi di tutti, è un uso criminoso. E io credo che sia un preciso dovere da parte della nuova dirigenza di non permettere più che questo avvenga”. I tre che avrebbero fatto un uso “criminoso” della tv sono Enzo Biagi, Michele Santoro e Daniele Luttazzi. Il presidente della Rai Baldassarre inizialmente è solidale con i tre. Poi, finita la stagione, appena arriva l’autunno via Biagi e Santoro. Luttazzi è solo un esterno, per cui basta non richiamarlo. L’editto bulgaro ha avuto le sue vittime!
A distanza di qualche anno, intervenendo alla trasmissione Porta a porta condotta da Bruno Vespa, notorio schienante, Berlusconi affermerà: “Quando, a Sofia, ho parlato di Biagi, Santoro e Luttazzi, non pensavo che fossero presenti giornalisti. Altrimenti mi sarei attenuto ad un linguaggio ufficiale”. Né lo schienante Vespa, né gli altrettanti schienanti direttori di tre giornali presenti, gli fecero notare che la frase era stata pronunciata in conferenza stampa, davanti a duecento giornalisti internazionali. Quando nel 2007 Enzo Biagi riuscì a tornare nella Rai, a Rai3, il 23 aprile 2007, parlando a “Radio anch’io”, Berlusconi fece una piccola marcia indietro: “Io non ho mai detto che Biagi e gli altri non dovessero continuare in Rai. Io ho detto che non dovevano utilizzare
Dopo questa ultima dichiarazione è necessario sapere cosa successe dopo la cacciata. Lo spazio di Enzo Biagi venne preso dal programma “Max e Tux”, che fu un fallimento, come quelli che seguirono. Il divertente che la colpa del fallimento di “Max e Tax” venne addebitata dal direttore di Rai1 Fabrizio Del Noce, noto per gli incredibili e ridicoli vestiti quando era nel programma di agricoltura, ad Enzo Biagi. La stupidità non conosce certo confini. Per quanto riguarda Michele Santoro, il suo programma venne sostituito da “Excalibur”, condotto da un certo Antonio Socci, giornalista del quotidiano di famiglia “Il Giornale”. Bene, la parola criminoso è perfettamente aderente al programma di Socci. Una conduzione allucinata a senso unico, tutta pro maggioranza. Come prevedibile non ebbe vita lunga, dato il crollo degli ascolti. Non abbiamo mai avuto notizia di qualche intervento del cav. Berlusconi su questo “uso criminoso” della tv pubblica. Dobbiamo supporre, secondo la visione berlusconiana, che la televisione pubblica non è pagata da tutti, ma solo da chi che “non la pensa come Biagi e gli altri”.
L’8 gennaio
Ma il 10 viene passato “da imprecisati ambienti parlamentari” l’anonimo scritto a “Il Giornale”, noto per essere il quotidiano di famiglia. Il giorno dopo il documento, con annessi e connessi, appare sul Giornale a firma del redattore del quotidiano Gian Marco Ciocci. E’ solo l’inizio, perché su quelle pagine la storia andrà avanti per mesi. Il Ciocci, interrogato dal pm di Torino il 17 maggio, rivela che tra l’11 e il 12 gennaio lo aveva cercato telefonicamente un certo Igor Marini. Ciocci incontra il 12 gennaio l’avvocato Randazzo, legale di Marini, nel suo studio. Incontra poi il Marini successivamente, e nell’occasione costui arriva con due o tre faldoni pieni di documenti, incominciando a parlare di movimentazioni bancarie, di personaggi del mondo bancario. Dice al Ciocci che aveva riciclato parte della tangente Telekom, e che la tangente era destinata a Mortadella, Ranocchio e Cicogna. Gli dice anche che conosceva Donatella Dini e gli fa il nome di due persone: Zoran Persen e Tom Tomic, dei quali gli dà i numeri di telefono.
Siamo ancora al 10 quando il dirigente della Polizia di Stato Guido Longo,distaccato dall’ottobre 2002 presso la commissione Telekom Serbia, entra nella stazione carabinieri Aventino, a Roma, per sentire il maresciallo Giuseppe Quaresima in merito al “conte” Igor Marini. Questo perché il Marini è quasi un abitudinario nella stazione, tutto preso a raccontare al maresciallo Quaresima di immaginifiche vicende di riciclaggio internazionale, accreditandosi come agente provocatore. Quaresima conosce il Marini perché è denunciante e denunciato in una inchiesta del pm Beatrice Barborini. E perché è stato proprio Marini ad avergli fatto arrestare in “flagranza di reato” l’avvocato Fabrizio Paoletti sulla base di un pezzo di carta. Pezzo che il gip, che scarcererà il Paoletti, riterrà solo carta straccia.
Dal maresciallo Quaresima Longo vuole sapere qualcosa. Ecco quello che dirà il 17 maggio 2003, interrogato dai pm di Torino. “Il presidente della commissione Trantino mi aveva incaricato di chiedere notizie su Paoletti. L’incarico era motivato dal fatto che la commissione aveva ricevuto due anonimi in cui si faceva riferimento a Paoletti come coinvolto nelle tangenti che sarebbero state pagate per Telekom Serbia. Avevo verificato nei nostri archivi che era pendente un procedimento su Paoletti della dottoressa Barbolini, e per questo mi ero recato dal carabinieri. Chiesi al maresciallo Quaresima notizie su Paoletti. Quaresima mi confermò solo l’arresto e mi inviò alla dottoressa Barbolini”.
Ma nello stesso giorno, il 17 maggio, venne sentito anche il maresciallo Quaresima, che così ricostruì l’incontro: “Ricordo che era pomeriggio. Longo arrivò dopo le 18, dopo un preavviso telefonico. Disse di lavorare per la commissione Telekom Serbia e mi diede anche un biglietto da visita che ho conservato. Era presente anche il mio comandante, il maresciallo Francesco Rocco. Ci chiese di avere notizie sul conto del Marini e del Paoletti. Anche se Marini, in tutte le denunce che aveva fatto, in tutti i documenti che aveva consegnato, mai aveva fatto alcun cenno a vicende relative a Telekom Serbia”. Che dire? Dalla testimonianza del maresciallo Quaresima Longo non solo ha chiesto informazioni su Paoletti, ma pure su Marini. Inoltre Longo ha parlato di “due anonimi”, cosa che non corrisponde al vero riferendosi al 10 gennaio
Il 14 ecco l’avvocato Fabrizio Paoletti davanti alla commissione Telekom Serbia. Il presidente “gentiluomo” della commissione Enzo Trantino, perfetto volto di vecchio gerarca, interroga il Paoletti. Gli viene mostrato il prospetto allegato all’anonimo. Paoletti riconosce la carta, ne spiega la falsità, nega di avere conti a San Marino. Non fa alcun nome, nemmeno uno. Allora Trantino, spalleggiato da Carlo Taormina (avvocato di Berlusconi, della mafia e altri, esperto in amenità), chiede al Paoletti: chi è tal “D’Andria Renato”? Chi è “Rubolino Giorgio”? “Ha mai conosciuto tali Salvatore e Nicola Spinello””. Taormina di suo “Conosce Curio Pintus”. E poi “Conosce Robelo, ambasciatore del Nicaragua in Vaticano?”. E ancora se conosce tali Michele Amandini, avvocato Vittore Pascucci, Antonio Volpe, Tom Tomic, Zoran Persen ed un certo Igor Marini. Chi sono costoro, e come mai questi nomi vengono fatti a uno stupito Paoletti? Trantino e Taormina non lo dicono, ma qualcosa di questi nomi si può cominciare a sapere.
Renato D’Andria viene arrestato dagli investigatori della Dia perché sono in grado di documentare che il soggetto avesse una squadra “privata” di carabinieri, tra i quali un colonnello e due sottufficiali, esperta in falsi dossier contro chi dava fastidio: imprenditori, rivali in affari, rappresentanti delle istituzioni come gli stessi carabinieri e magistrati. Ha avuto rapporti con il defunto Arkan, la “tigre” serba responsabile di crimini contro l’umanità. Ne mantiene tutt’ora con l’eversione neofascista italiana.
Giorgio Rubolino è stato accusato e scagionato dell’omicidio di Roberto Siani, giornalista de il Mattino. Finito a Londra, dove conoscerà anche lì la galera, verrà trovato cadavere nel suo appartamento ad agosto. Morte sospetta.
Salvatore e Nicola Spinello sono massoni, fondatori della loggia “Uniti nella libertà”, che ha come obiettivo “il condizionamento dell’attività parlamentare”. Nel ’91 Salvatore Spinello si mise “a disposizione di cosa nostra per rimuovere Giovanni Falcone”. Strano concetto della libertà; Uniti nella libertà, Casa delle liberta…
Curio Pintus è un riciclatore sardo in carcere. E’ il filo che il polo vuole tendere tra l’affare Telekom e la signora Donatella Dini.
Alvaro Robelo, massone, ex ambasciatore del Nicaragua in Vaticano, innamorato di Forza Italia fonda “Arriba Nicaragua”, fantastica un secondo canale di Panama e finisce implicato nell’inchiesta di Aosta su Gianmario Ferramonti.
Miche Amandini, con l’avvocato Vittore Pascucci, finisce a giudizio perché i soldi che maneggia arrivano dalle casse della ‘ndrangheta. Gli attribuiscono contatti con il Vaticano, con il ministero della Giustizia e fantomatici rapporti con servizi segreti libici.
Zoran Persen e Tom Tomic sono due, al momento, sconosciuti croati. Come mai il presidente “gentiluomo” li ha nominati? Come faceva a conoscerli? Noi sappiamo che proprio degli sconosciuti qualcuno, il giornalista Ciocci de il Giornale, aveva persino i numeri di telefono. Numeri dati, tra l’altro, da quell’Igor Marini nominato da Trantino che, però, non conosce, e non conoscerà se non più avanti. Almeno così il “gentiluomo” dice.
Antonio Volpe altri non è che il famoso “anonimo”, di cui parleremo, come dicasi dello “sconosciuto” Marini.
Una postilla la merita Carlo Taormina. Il 19 luglio ’99 difende come avvocato proprio D’Andria, minacciando: “Il mio assistito ha parlato degli interventi anomali nell’accaparramento degli appalti che riguardano la sinistra, di una grossissima operazione di pochi anni fa che riguarda l’Iri. Molte persone devono preoccuparsi”. E’ il difensore dell’imputato Roberto Fracassi del falso “dossier Violante”, in cui è stato indagato anche Vittorio Volpe. E’ avvocato dell’imputato Giuseppe Di Bari nel processo per la truffa virtuale nel Principato di Monaco, a cui si è “ispirato” qualcuno per le balle che vedremo. Coincidenze, “semplici coincidenze”… “Strano” anche che il presidente “gentiluomo” Trantino abbia nominato Igor Marini senza, secondo sue stesse dichiarazioni, che sapesse niente di lui.
Come già accennato, il 4 febbraio arriva alla commissione il secondo anonimo. Ma è il 7 febbraio che il Sisde, servizio segreto civile, indirizza al comando generale della Guardia di Finanza, II Reparto, e per conoscenza al Cesis (Comitato esecutivo per i servizi di informazione e sicurezza, alle dirette dipendenze del governo e del sottosegretario con delega ai servizi segreti Gianni Letta), il documento numero 2003, med. 0000534, dove si legge: “L’acquisto del 29% di Telekom Serbia è stato fatto a prezzo notevolmente superiore al valore reale. Tale surplus sarebbe poi tornato nella disponibilità dei vertici della società italiana attraverso la sovrafatturazione di acquisti di beni, servizi o infrastrutture necessari per la modernizzazione di Telekom Serbia e il successivo trasferimento ai destinatari degli importi differenziali, con pagamento estero su estero su conti cifrati. Tali acquisti da parte di Telekom Serbia sono stati facilitati dall’inserimento nella società di dirigenti Telecom Italia i quali, operando in territorio estero in seno a una società di diritto serbo, avrebbero agevolmente evitato il loro coinvolgimento in responsabilità penali”. Il Sisde giunge anche a indicare i nomi degli “artefici del disegno criminoso: Giovanni Garau, all’epoca vicedirettore generale di Telekom Serbia; Giordano Cristofoli, dirigente”. Il documento indica anche due appalti sospetti: l’installazione di una rete “Wireline local loop”, una fornitura di ponti radio. In allegato al documento anche tre filmini. A questo punto si dirà: visto il rapporto del Sisde, sarebbe da pensare che la commissione Telekom Serbia lasci perdere quello che ha appena intrapreso, e si dedichi a quanto segnalato. Dovrebbe, ma questo rapporto, chissà perché, appare soltanto il 12 settembre 2003 quando, nella seduta della commissione Telekom Serbia, il “gentiluomo” Trantino comunicherà che “la commissione ha acquisito i seguenti atti segreti: (…) un documento trasmesso dal Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica (Sisde), pervenuto in data 10 settembre 2003 (…)”. Sette mesi non sembrano troppi per una comunicazione dei servizi segreti?
Il 7 maggio 2003 finalmente il “gentiluomo” presidente Trantino “conosce” il mitico “conte” Igor Marini. Costui, infatti, viene sentito in commissione, e in questa sede parla di una tangente di 450 miliardi di lire a favore di alcuni politici del centrosinistra, che portò Telecom Italia, allora di proprietà pubblica, all’acquisto del 29% della compagnia telefonica serba. Marini sostiene di possedere documenti a sostegno di quanto afferma, ma questi documenti sono custoditi in Svizzera presso gli archivi, depositati alla Cassa dei notai, dell’avvocato Gianluca Boscaro, deceduto nell’agosto del
Il 9 maggio 2003 è il giorno delle comiche. Un gruppetto composto da due deputati, Enrico Nan di Forza Italia e Giovanni Kessler dei Ds, due funzionari di polizia, un magistrato consulente e lo stesso Igor Marini, arriva in Svizzera, all’ufficio dei fallimenti di Lugano, alla ricerca dei 40 scatoloni che conterrebbero le prove delle tangenti. Di questi 40 scatoloni riescono a controllarne una decina ma, nonostante Marini dica che i documenti che provano le sue accuse “sono stati trovati”, non c’è traccia di eventuali documenti che abbiano un collegamento con Telekom Serbia. Il guaio è che improvvisamente arriva la polizia elvetica che blocca tutti e li porta al Palazzo di giustizia. Dopo 4 ore e mezza tutti vengono iscritti nel registro degli indagati. Denunciati in base agli articoli 271 e 273 del codice penale elvetico per “atti compiuti senza autorizzazione per conto di uno Stato estero”, e per “spionaggio economico”. Per Igor Marini, inoltre, scatta l’arresto in quanto sarebbe responsabile di riciclaggio in territorio elvetico. Insomma, questo è un vero “capolavoro” di una commissione troppo presa a cercare prove che non ci sono, con il risultato che il supertestimone finisce in galera, mentre gli altri, tra i quali due deputati, sono accusati di spionaggio. Nan, arrivato al Consolato italiano, chiede aiuto al presidente della Camera Casini, e al ministro degli Esteri Frattini. Il povero, e incolpevole Kessler continua a ripetere: “Lo dicevo che non bisognava venire…”. A tarda serata il portavoce della Procura Federale di Berna, Mark Wledmer, invia un comunicato al procuratore generale del Canton Ticino, Bruno Balestra, da dove emerge che alla delegazione italiana viene contestata solo l’ipotesi di reato di violazione della sovranità territoriale da parte di pubblici ufficiali di uno Stato estero, e non anche lo spionaggio economico. Il gruppo tornerà poi a casa, mentre Marini rimane in carcere a Berna fino al 29 luglio 2003, quando verrà estradato in Italia e arrestato per associazione a delinquere finalizzata a truffe internazionali dalla procura di Torino.
Ma chi è veramente Igor Marini? Uno spiantato che nella sua turbolenta vita ha fatto l’attore, lo stuntman, il playboy, il promotore finanziario, persino il garzone di negozio. Conquista la notorietà con il caso Telekom Serbia, ma nel suo passato, che non gli piace ricordare, risulta “fermato nel 1983 per detenzione e spaccio di stupefacenti”, “indagato nel
Pare che il matrimonio sia il secondo per Igor Marini. Notizie lo danno maritato nel 1986 con l’attrice Isabel Russinova, matrimonio che finirà con il divorzio nel 1993. Risulterebbe anche figlio dell’attrice polacca Valeria Zalewskia, il che rende persino comprensibile la sua attività di attore. Detto questo, si è visto che un legame con Paoletti e Boscaro c’è. I tre, nel ’99, quando secondo Marini avrebbero dovuto essere occupati con la tangente della Telekom Serbia, sono invece in tutt’altre faccende affaccendati. Infatti Marini cerca di negoziare una garanzia bancaria di 50 milioni di dollari emessa da una banca indonesiana, inventandosi di essere unico titolare di una società off-shore, la “Jundor Trading”, le cui carte sono depositate fiduciariamente presso lo studio Boscaro a Lugano. Il promesso acquirente di quella garanzia, il finanziere Curio Pintus (che Marini tirerà dentro all’affare Telekom Serbia), scrive a Boscaro che si prepara a denunciare al Fbi e alla Federal Reserve l’operazione: “La transazione si è persa in una serie di documenti rivelatisi inesistenti e falsi”. L’operazione fallisce, ma Marini riprova, tentando di negoziare con Boscaro un’altra linea di credito, ma va male anche qui. Allora offre all’avvocato Paoletti di negoziare un certificato di garanzia in deposito della “Indutrial Bank China”, filiale di Shangai. Si tratta di 32 milioni di dollari che la banca cinese ha emesso a fronte del deposito di un rubino di 640 carati. Marini spiega a Paoletti: “Lo Ior offre in cambio del titolo il 40% del suo valore, e questo denaro, investito, nell’arco di 36 settimane renderà il 368%”. Finirà malissimo, ma qui Marini denuncia Paoletti ai carabinieri per riciclaggio e lo fa arrestare il 2 maggio 2002, tentando di accaparrarsi il cliente indonesiano dell’avvocato rimasto senza contatto. Gli andrà male anche qui. Paoletti sarà subito liberato e scagionato dal gip per insussistenza del reato, e denuncerà a sua volta il Marini per calunnia.
L’avvocato Paoletti aveva già scritto al notaio Boscaro il 14 novembre 2001: “Il Marini Igor, sedicente Conte, ha portato a esaurimento la mia pazienza e l’amicizia che gli ho offerto. Mi avete rotto l’anima…L’unica cosa tangibile in questa storia sono le menate del Conte… A Napoli questo si chiama il gioco della valigia o dei bauli. Voglio: il rimborso a forfait di 2 mila franchi per l’uso e l’abuso del Conte del mio ufficio; 15 mila di franchi svizzeri che di volta in volta il Conte mi ha chiesto di versagli quale aiuto per benzina, pasti, luce e gas domestici; l’impegno del signor Conte a restituire a mio padre
Per tornare al presente, i magistrati di Torino vanno ad interrogare nel carcere di Berna Igor Marini. Costui ripete praticamente le stesse cose dette davanti alla commissione, anche se si fa notare che il teste stavolta “parla di consegna di soldi ad intermediari e non di una consegna diretta”. Piccola variante di quanto precedentemente affermato. Intanto, mentre Prodi, Dini e Fassino hanno già querelato Marini, questi è anche indagato dalla procura di Roma per truffa e riciclaggio, stessi reati per cui è in carcere in Svizzera. Nel mentre il ministero della Giustizia elvetica da il via libera alla rogatoria richiesta, questa volta ufficialmente, dal Parlamento italiano. Il “gentiluomo” Trantino e quelli della maggioranza sono intenzionati ad andare in Svizzera almeno due o tre volte per sentire le “rivelazioni” di Igor Marini, vogliono sapere, vogliono le casse con i documenti.
Il 7 agosto 2003, riportato in Italia, la commissione Telekom Serbia va ad interrogare Igor Marini nel carcere delle Vallette di Torino.. E qui il “supertestimone” spara a zero contro Prodi, Dini e Fassino, eccitando Taormina, che arriva a chiedere l’arresto per i tre. Ma Marini non parla solo dei tre, ma tira in ballo pure Walter Veltroni, Francesco Rutelli e Clemente Mastella. Quest’ultimo era, all’epoca, all’opposizione. E, dicendo che il nome lo aveva fatto Paoletti, getta anche il presidente Ciampi nel calderone. Il presidente “gentiluomo” Trantino è preoccupato della sicurezza di Marini, per questo lo vogliono sentire ogni volta che costui lo chiede. Paoletti smentisce di aver mai fatto il nome di Ciampi, ma nel cosiddetto polo delle libertà gongolano. Il forzista Sandro Bondi riesce ad affermare: “I responsabili di una simile operazione, magari responsabilità per omessa vigilanza, dovrebbero dimettersi tutti come inadeguati e indegni di occupare un incarico pubblico in nome e per conto dei cittadini”. Il mitico Bondi, come d’altronde i suoi colleghi del polo, farà poi un passo indietro: è “la sinistra che si fa scudo del presidente”. Per la serie dico e disdico. L’unico che insiste sul nome di Ciampi resta l’avvocato Taormina, quello che vorrebbe arrestare Prodi, Dini e Fassino.
Il 12 settembre vengono finalmente alla luce i famosi faldoni di Igor Marini, giunti alla commissione Telekom Serbia dalla Svizzera. Bisogna dire che questi faldoni erano arrivati già da qualche giorno ma, chissà perché, Forza Italia ne aveva bloccato la visione. Anzi, nel mentre il Tg2 aveva persino parlato di “capi di imputazione” per Prodi, salvo poi chiedere scusa allo stesso. Per il direttore del Tg2 Mauro Mazza “Abbiamo sbagliato in buona fede”. Diremmo la stessa “buona fede” del “gentiluomo” Trantino” e i suoi accoliti. Ma i faldoni cosa contengono? Bollette insolute, ricevute di taxi, anche atti di pignoramenti della casa di Fregene di Marini e sua moglie che, per inciso, lo ritiene un grande mentitore. Nomi nessuno, nessun riscontro alle accuse dello stesso Marini. Una bufala, una semplice, colossale bufala!
A questo punto dovrebbe essere la logica fine della commissione Telekom Serbia, visti i risultati. Tanto più che proprio nello stesso giorno, il 12, il “gentiluomo” Trantino informa i componenti della commissione di aver acquisito agli atti un documento del Sisde, giunto due giorni prima. Il documento del Sisde non è altro che quello che lo stesso servizio spedì il 7 febbraio scorso, come abbiamo visto, indirizzandolo al II Reparto del comando generale della Guardia di Finanza e al Cesis, quest’ultimo alle dirette dipendenze del governo. Dove è stato fino ad ora? Non ci vuole molto a pensare che è giaciuto nelle carte della presidenza del consiglio. Ma il bello è sapere che
Comunque sempre il 12 settembre il “gentiluomo” presenta alla commissione un altro lungo dossier in due parti, giunti l’8 e il 25 di agosto. Questo è firmato da un nome nuovo: Pio Maria Deiana, che “svela” una sua verità nelle tangenti che sarebbero state prese da Prodi. Ma chi è questo Pio Maria Deiana? Il tizio ha avuto una vita alquanto avventurosa. Emigrato negli Usa, operava in affari di piccolo cabotaggio. Trasferitosi poi a New York era utilizzato per bassi lavori di manovalaggio dalle locali famiglie mafiose. A Bogotà, Colombia, finisce in carcere per più di un anno per aver tentato di acquistare una partita di smeraldi con traveller cheque rubati. Altri 5 anni di carcere trascorsi in Angola, per traffico illegale di diamanti.
Questo curriculum di Deiana, Francesco Pazienza vorrebbe mandarlo a un misterioso e “carissimo Giulio”, al quale così scrive: “Se una persona si presenta a questo stronzo di Deiana e gli mostra questo foglio, l’unica cosa che può fare è quello di mettersi completamente a disposizione. Altrimenti per lui sarebbe la fine. Comunque se dobbiamo mettere assieme il dossier completo io so come fare e come e dove andare. D’altronde il solo fatto che il Bolognese (che sarebbe Prodi) abbia avuto rapporti con un personaggio simile, se esce fuori, è la fine per lui, basta pomparlo un po’ sui giornali e il il gioco è bello che fatto…”. Il tutto verrà trovato nella cella di Pazienza, ma due anni prima che il caso Telekom Serbia uscisse. Una storia piduistica partita da lontano Il divertente che succede come nel finale della lettera di Pazienza! Infatti il “gentiluomo” dice di ritenere che Deiana voleva usare la commissione, ed allora lo ha ignorato con sdegno. Si dà il caso che quel dossier sia poi finito a pag. 3 del Giornale domenica 28 settembre. Era già finita su un sito ucraino in lingua inglese e italiano.
Passato anche la meteora Deiana, visto l’assoluto disinteressamento del “gentiluomo” Trantino sulla lettera del piduista Pazienza, resa nota da Repubblica, la vita della commissione Telekom Serbia non si ferma, non si può fermare. E allora, visti gli scarsi esiti di Marini e soci, ecco che finalmente il 31 luglio 2003 arriva alla commissione, al cospetto del presidente “gentiluomo” Trantino, accompagnato da Elio Vito, Antonio Volpe, quello degli invii “anonimi”, il vero regista della bufala. Quello visibile, per inciso, poi c’è quello nascosto. Volpe arriva con le carte inviategli da un certo Giovanni Romanazzi dalla Thailandia. Carte che proverebbero il coinvolgimento nell’affare di Mortadella, Ranocchio e Cicogna. Peccato che i sopranomi di Prodi, Dini e Fassino siano stati inseriti falsamente. Ma per la maggioranza della commissione tutto va bene. Secondo il “gentiluomo” Trantino, Volpe subito dopo l’audizione sparisce. Detto così sarebbe da pensare che non si abbiano più avute notizie di costui per molto tempo. Ma non sarà così.
Ma chi è Antonio Volpe? Ha un filo diretto con lo spione piduista, e carcerato, Francesco Pazienza, visto sopra. E’ in affari con quel tale anche lui visto sopra Pio Maria Deiana. Traffica con i massoni Salvatore e Nicola Spinello. Ha commerci poco puliti con Renato D’Andria. Costui, come abbiamo già visto all’inizio del caso, è imputato nelle procure di mezza Italia per truffe e bancarotte, assistito dall’avvocato Carlo Taormina. E’ alquanto incline al dossieraggio calunniatore contro esponenti della magistratura e del centrosinistra, per fare il quale si serve di una intelligence privata forte di 20 tra ufficiali e sottufficiali dei carabinieri. Per tornare a Volpe, ecco quanto scrivono i pm di Napoli che indagano sulle deviazioni della loggia spuria di Salvatore e Nicola Spinello: “Antonio Volpe si vanta di essere amico di Marco Affatigato, noto estremista di destra e tra i fondatori della “Lega di Stefano Delle Chiaie”. E’ collegato all’avvocato Egidio Lanari, già “Gran segretario della comunione massonica di Giorgio Paternò”, e tra i promotori della “Lega meridionale”. La stessa che propose la candidature di Licio Gelli e Vito Ciancimino. E’ primo vicepresidente, con funzioni di esperto nel settore della finanza, della “Lega Universale Frammassonica”, loggia in contatto con Gelli, nonché nel piedilista della loggia “Oriente
Come abbiamo accennato, Antonio Volpe non scompare per molto tempo. Riappare già il 4 settembre, seduto ad un tavolino in piazza San Silvestro a Roma in compagnia del componente della commissione, il forzaitaliota Elio Vito, quello che già lo aveva accompagnato dal “gentiluomo” Trantino. Mentre sta per passare un plico contenente nuove “prove” nell’affare Telekom Serbia all’amico Elio Vito, 25 finanzieri lo placcano, e passano all’identificazione dei due. Interrogato dalla magistratura Volpe ammette di essere al servizio di Elio Vito, e continua a perseverare sulla bontà del suo dossier. Elio Vito, invece, offre la sua versione, che in verità non è proprio la prima, affermando che “è tutta una bufala”, e via con le sue giustificazioni. Senza volerlo ha detto la sacrosanta verità: è proprio tutta una bufala! Ma chi è Elio Vito?
Elio Vito era conosciuto ai bei tempi come “mister 100mila preferenze”. Era il collettore di molte mazzette destinate alla Dc napoletana. Nel 1993 confessa, restituisce 5 miliardi di lire, patteggia 3 anni per corruzione e promette: “Lascio la politica”. Come tutte le persone che hanno una sola parola, nel 2001 si candida, e viene eletto, con Forza Italia. Non ha perduto per niente il vizietto il tangentista, che frequenta, e aiuta, chi fornisce prove false. Tra l’altro, quando il “Riformista” ha svelato che Elio Vito “è tra gli amici” di Antonio Volpe, il tangentista, molto indignato, aveva smentito e querelato. Peccato che poi si è visto che Volpe lo conosceva fin troppo bene. Certo è che i tempi sono cambiati: da tangentista Elio Vito si è fatto inquisitore. Che progresso!
Il 25 febbraio 2004 arriva una tegola sulla commissione Telekom Serbia: su richiesta della Procura di Torino, viene arrestato a Roma Antonio Volpe con l’accusa di calunnia nei confronti di politici. E’ la stessa accusa già contestata a Igor Marini. Accusati di calunnia anche Giovanni Romanazzi e Maurizio De Simone, entrambi in Thailandia da mesi. E’, come dire, il crollo del castello di carte della commissione Telekom Serbia. Il vicepresidente dei senatori Ds Massimo Brutti chiede le dimissioni del “gentiluomo” Trantino e dell’esperto in tangenti Elio Vito. Da Bruxelles Romano Prodi commenta: “I fatti mi chiedono scusa, è tempo che lo facciano anche le persone responsabili”, e poi scrive una lettera al presidente della Commissione, il “gentiluomo” Trantino, in cui sottolinea “l’opportunità di attendere un chiarimento prima di fissare la data”. Prodi dovrebbe essere sentito dalla commissione, come pure Fassino, ma entrambi non andranno mai a farsi interrogare da chi ha falsamente condotto indagini su di loro per screditarli.
Ma il “gentiluomo” non vuole ammettere la sconfitta. Ribadisce l’estraneità di Antonio Volpe alla commissione, e risponde a Prodi: “L’onorevole Prodi si faccia chiedere scusa da chi vuole, non certamente da una commissione che non aveva nessun animo di offenderlo, perché ha sentito, com’era suo dovere, il Marini, il quale poi si è scagliato contro Prodi, Dini e Fassino”. Ma non solo: “Prodi ha il dovere di venire e spiegare, perché Presidente del consiglio non lo è stato solo per finzione, ma perché ha interpretato un ruolo che non è una recita”. Potremmo dire che abbiamo capito dall’inizio chi recita veramente. Ma il “gentiluomo” dimostra davvero di avere una faccia di bronzo incredibile. Lui è avvocato, e certamente sa come gestire le cause a proprio comodo, ma qui si è indubbiamente superato. Avesse almeno dimostrato un pochino di coerenza: aveva dichiarato: “Se Marini mente lo denuncerò per calunnia”. Marini lo denunciato per calunnia
Il 21 aprile 2006 , Antonio Volpe, Giovanni Romanazzi e Maurizio De Simone vengono rinviati a giudizio con l’accusa di aver fabbricato delle prove false. E’ la fine della madre di tutte le bufale. La commissione parlamentare sul caso Telekom Serbia non formula alla fine alcuna accusa diretta, e nemmeno presenta al Parlamento la relazione finale, come invece imponeva la legge istitutiva (L. 99/2002). Però, al di fuori della commissione, secondo il polo erano state accertate le responsabilità del governo Prodi per aver “finanziato una dittatura”, dimenticando quanto abbiamo già scritto molto sopra, come prologo del caso. In verità la commissione aveva il solo scopo di screditare Prodi e l’opposizione. Piero Fassino aveva a suo tempo dichiarato che “il burattinaio stava a Palazzo Chigi”. La cosa aveva fatto arrabbiare il cav. Silvio Berlusconi, certamente toccato, che lo aveva querelato per calunnia (proprio lui?), chiedendo un risarcimento di 15 milioni di euro. Peccato per lui, visto che il procedimento contro Fassino finisce con il proscioglimento dello stesso. D’altronde, diciamo la verità, chi poteva esserci dietro i peones della commissione Telekom Serbia? Solo uno: il burattinaio presidente del consiglio Silvio Berlusconi!
Finita la commissione Telekom Serbia, sotto con la commissione Mitrokhin, istituita il 7 maggio 2002 con legge n. 90, poi prorogata con legge n. 232 l’11 agosto 2003. La commissione parlamentare d’inchiesta sulla Mitrokhin viene attivata nel 2002 riprendendo un disegno di legge del governo D’Alema della precedente legislatura. Si tratta di verificare le affermazioni contenute nel dossier omonimo riguardanti l’attività spionistica svolta dal Kgb sul territorio italiano, nonché le eventuali implicazioni e responsabilità di natura politica o amministrativa. L’autore del dossier è un ex archivista del Kgb in pensione, Vasili Nikitich Mitrokhin, che a suo tempo copiò documenti segreti del servizio segreto russo. Il dossier venne inviato dalla Gran Bretagna a 36 nazioni, tra le quali l’Italia. Furono consegnate 261 schede al Sismi tra il 1995 e il 1999 su una attività che andava dal 1917 al 1984, anno in cui Mitrokhin andò in pensione.
Dei numerosi nomi presenti nelle 261 schede il più conosciuto rimane Armando Cossutta, in merito a diversi finanziamenti negli anni a favore del Pci, come pure del Psiup e del Partito Comunista di San Marino Però nelle schede 130, 131, 145 e 192 viene evidenziato che il Pc Russo non condivideva alcune scelte del Pci e di Enrico Berlinguer. “Contatti tra i rappresentanti del Pci e rappresentanze Usa; la posizione del Pci sulla posizione dell’Italia sulla Nato; tolleranza della aggressività politica di Israele; tentativi di sviluppare contatti con il Partito Comunista Cinese; supporto al Governo italiano; polemiche col Pcus su questioni di religione, dissidenza, eventi in Cecoslovacchia ed altri argomenti”.
Presidente della Commissione Mitrokhin viene nominato Paolo Guzzanti, di Forza Italia. Per la cronaca il Guzzanti è il padre degenere dei fratelli Guzzanti. Dobbiamo subito dire che la differenza tra i due presidenti, il “gentiluomo” Trantino per
Guzzanti va a reperire copie di fascicoli segreti anche in Germania e Ungheria. Il suo scopo è quello di cercare accuse in qualsiasi modo contro Romano Prodi, il quale viene sentito dalla commissione Mitrokhin il 5 aprile
Sul dossier Mitrokhin molti storici hanno posto dubbi sulla autenticità dei documenti, stante anche il fatto della non possibilità di verificare le cose in Unione Sovietica. L’American Historical Review scrive il 2 aprile 2001: “Mitrokhin si descrisse come un solitario in una crescente opinione anti-sovietica…Potrebbe forse un simile personaggio sospetto (dal punto di vista del Kgb) realmente stato libero di trascrivere migliaia di documenti, contrabbandarli fuori dalle sedi del Kgb, nasconderli sotto il suo letto, trasferirli nella sua casa di campagna, nasconderli nei contenitori del latte, fare numerose visite alle ambasciate Britanniche all’estero, fuggire in Gran Bretagna per poi tornare in Russia e trasportare tutti quei voluminosi documenti nuovamente in occidente, e tutto questo senza essere scoperto dal Kgb? Potrebbe essere tutto vero. Ma come possiamo saperlo?”. Certo che queste domande senza risposta lasciano moltissimi dubbi. Sta di fatto che molti ritengono sì che diverse informazioni siano veritiere, ma già da tempo conosciute dai servizi, compresi quelli italiani, tra l’altro molti relativi a fatti avvenuti decenni prima. Il resto, essendo notizie non verificabili, potrebbe anche essere falso.
Il 16 dicembre 2004 la commissione Mitrokhin rende pubbliche le relazioni finali, ma dagli elementi raccolti passati diverso tempo prima alla Procura di Roma, questa iscrive nel registro degli indagati Romano Prodi, Massimo D’Alema e altre 19 persone. Il 7 agosto 2004 il procedimento viene archiviato dalla stessa Procura di Roma per tutti i 19 indagati (Prodi, D’Alema e altri
In pratica la commissione Mitrokhin avrebbe finito la sua opera alla fine del 2004. Avrebbe, ma se è finita nel nulla l’indagine sui nomi contenuti nel dossier, non va bene che Romano Prodi possa cavarsela così impunemente. C’è una relazione fatta fare da Guzzanti sui presunti rapporti fra il Kgb, Nomisma e Prodi, e depositata negli archivi della commissione. Inoltre da gennaio 2004 è entrato in contatto con la commissione Mitrokhin, ma è più esatto dire con il presidente Paolo Guzzanti, Mario Scaramella, che ne diventa consulente. Scopo: cercare e raggruppare documenti sui casi già esaminati dalla stessa commissione, tra cui alcuni personaggi di spicco della politica e, particolarmente, Romano Prodi. Più che raggruppare è sicuramente cercare. Cercare qualsiasi cosa, non importa cosa, non importa come, purché si possa mettere sotto accusa Prodi.
Mario Scaramella comincia a farsi veder, ma ha già lavorato molto prima, in tutti i sensi, il 12 novembre 2004 quando va a consegnare un dossier riservato “top segret” della commissione Mitrokhin al direttore generale della Protezione civile Guido Bertolaso. Il dossier contiene una storia da brivido, se fosse vera: venti missili nucleari sovietici che giacciono, da oltre 35 anni, nel golfo di Napoli, e che potrebbero essere attivati da una antenna trasmittente collocata sulle pendici del Vesuvio. Secondo quanto scritto dalla commissione Mitrokhin in tale dossier, è il 10 gennaio 1970 quando un sottomarino nucleare della classe Nevember, distaccato presso
Del fatto Bertolaso spiega di essere stato informato che l’episodio era da sempre noto, ma che non ci sono conferme. In fin dei conti non è poi molto difficile, tanto più con la presenza della marina Usa, controllare se effettivamente quei fantomatici 20 siluri atomici si trovano davvero sul fondo del golfo. Ma il tutto deriva dalle accuse lanciate da Paolo Guzzanti, il rosso, su presunti piani di invasione da parte della Russia. Sentite la castronata che dice: “Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta l’Urss preparò i piani per un attacco improvviso all’Europa occidentale. L’Unione Sovietica avrebbe lanciato bombe atomiche per una potenza pari a 1.050 volte la bomba di Hiroshima, invadendo l’Europa con 180 divisioni corazzate”. Che questa sia una castronata, una sparata senza pensare pur di tirare fuori qualcosa, basti dire che già ci aveva provato, smentito, con l’isola della Maddalena, è facilmente dimostrabile. Lanciare bombe atomiche 1.050 volte la potenza di quella di Haroshima avrebbe non solo polverizzato l’Europa, ma avrebbe pure bloccato le fumose 180 divisioni corazzate. Saremmo stati invasi da un esercito di zombi. Roba da malati mentali!
Per “provare” questo, ecco cosa era accaduto il 20 marzo 2004 Quel giorno Mario Scaramella si trova alle pendici del Vesuvio in compagnia del collega Fulvio Mucibello, entrambi consulenti dell’Ente Parco del Vesuvio, per effettuare un sopralluogo in un’area dove c’era anche una villa abusiva di un boss di Ercolano, Lorenzo Cozzolino, in attesa per essere abbattuta. In realtà Scaramella ha un appuntamento con due agenti della polizia penitenziaria per ispezionare una antenna sospetta collocata a due passi della villa del boss. Una trasmittente avrebbe potuto attivare, tramite questa antenna, i missili nucleari sovietici giacenti al fondo del golfo di Napoli. Sono le 7 del mattino quando i quattro arrivano nei pressi della villa, trovando altre quattro persone che si aggirano nei pressi della stessa. Questi ultimi, stupiti di vedere quelli, tirano fuori delle pistole e sparano dei colpi verso l’alto per intimorirli. Ma i due agenti della polizia penitenziaria, Raffaele De Simone e Saverio Diana, reagiscono immediatamente sparando a loro volta verso quei quattro, ma ad altezza d’uomo, colpendo una Peugeot dove quelli erano saliti per scappare. Uno dei quattro resta ferito, e viene scaricato all’ospedale Maresca di Torre del Greco, dove viene fermato dalla polizia. E’ un camorrista, Vincenzo Spagnolo, legato al clan degli Ascione. Il compito di costui, e dei suoi tre complici, era quello di recuperare due mitra e tre bombe a mano prima che arrivasse la ruspa. Per sfortuna loro si sono travati lo Scaramella con altri tre, che con loro proprio non ci entravano per niente, visto che erano lì per tutt’altri motivi. Il curioso che nei pressi dell’antenna presunta trasmittente non si trovava solo la villa di un boss, ma pure alcune villette occupate da alcune famiglie provenienti dall’Ucraina. Alla fine niente successe, e l’antenna è sempre lì.
Ma chi è Mario Scaramella? Le prime notizie di costui, nato a Napoli il 23 aprile 1970, risalgono al marzo 1979 quando, a soli 19 anni ancora da compiere, fonda un gruppo ambientalista legato ad ambienti di destra, noto come i “Nuclei agenti di sicurezza civile”, ovvero “Nasc”. Il 12 settembre 1989 il Nasc firma un protocollo d’intesa con l’assessorato all’Ambiente della Provincia di Napoli. Poi riesce ad ottenere una lettera dall’Alto commissario antimafia, firmata da Luciana Villa, una amica di famiglia dirigente del ministero dell’Interno, in cui si raccomanda alla Prefettura il rilascio del porto d’armi per gli operatori dei Nasc al servizio del “commissario Scaramella”. A questo punto, agitando a distanza il tesserino di guardia itticovenatoria provinciale, il “commissario” Scaramella si presenta a due sostituti della procura di Santa Maria Capua Vetere per ottenere l’assistenza della polizia giudiziaria nelle sue attività di sequestro. Con l’appoggio dei funzionari a lui affidati, Scaramella diventa protagonista di una attività frenetica di sequestri. Come ricorda Rosaria Capacchione, cronista del Mattino che all’epoca scrisse molti articoli in merito: “Può sembrare incredibile, ma con il suo nucleo fece il bello e il cattivo tempo nelle province di Napoli e di Caserta dall’’89 a metà del ’91. Arrivò a sequestrare edifici abusivi, alberghi, ristoranti, bar, un caseificio e persino un ippodromo clandestino del boss Nuvoletta”. Le attività di Scaramella terminano subito dopo che a Capri ha messo i sigilli a due bar, un albergo e ai servizi igienici del porto, quando un brigadiere dei carabinieri di Sorrento, insospettito dal fatto che, al momento della firma dei verbali, Scaramella trova il modo di defilarsi, fa un esposto alla procura per usurpazione di titolo. Nel luglio ’91 Scaramella viene messo sotto processo per usurpazione di titolo e di pubbliche funzioni. La sentenza di condanna viene depositata il 31 dicembre 1994, dopo un procedimento in cui vengono chiamati a testimoniare sia i due sostituti ingannati, sia l’Alto commissario antimafia Domenico Sica. Come rilevato dal Pretore Roberto de Falco nella sua sentenza: “Larghe zone d’ombra sono rimaste, anche in conseguenza della retromarcia…da parte di molti organi istituzionali che avevano appoggiato lo Scaramella e i Nasc…retromarcia evidenziata dal contenuto chiaramente minimizzatore, se non reticente, di molte delle deposizioni dei pubblici funzionari escussi in dibattimento”. La sentenza viene poi annullata in appello con una motivazione definita dallo stesso de Falco “in punto di diritto”: viene stabilito che quello di “commissario” era un termine atecnico, e che Scaramella lo aveva usato in quanto presidente di una commissione dei Nasc. Molto umoristico, diremmo.
Nonostante i guai giudiziari Scaramella non si scoraggia. Chiude i Nasc, avendo ormai terreno bruciato vicino casa, e si mette a guardare oltre ai confini nazionali, puntando su sigle in inglese e contatti al di là dell’Atlatico. Nasce così lo “Special research monitoring center”, Srmc, entità virtuale che dichiara collegamenti con centri spaziali e universitari americani, ma senza avere neppure una vera e propria sede. Contatta Filippo Marino, un ex ufficiale dell’esercito italiano esperto in materia di sicurezza, trasferito a San Francisco nei primi anni ’90, che aveva fatto corsi di addestramento all’uso delle armi al gruppo di Scaramella. Marino negli Usa conosce Periklis Papadopoulos, un ricercatore di origine greca che lavora per
Neanche dopo il nuovo fallimento Scaramella si arrende. Anzi! Nel marzo del 1997 fonda, con il Filippo Marino di cui sopra, l’ “Environmental Crime Prevention Program”, l’Ecpp, il Programma per la prevenzione del crimine ambientale. Viene spacciato per un organismo di diritto internazionale, ma non è altro che una scatola vuota: non risulta mai essere stato registrato in alcun Paese del mondo. Per crearsi una parvenza di internazionalità Scaramella decide di nominare tre special assistants, che in un comunicato presenta come “John Graham Taylor (Uk), Christian Trentolà (France) and Phillip Marino (Germany)”. Il primo è un inesperto collaboratore di nazionalità inglese; il secondo un giovane napoletano di madre francese, il cui cognome è in realtà scritto senza accento; il terzo il suo socio Filippo Marino. Decisamente molto fantasioso.
Nel dicembre 1998 l’Ecpp fa domanda per ottenere lo stato di “osservatore” presso
Quello che ha aperto le porte a organismi internazionali piuttosto ingenui è stata l’autocertificazione dell’Ecpp che citava la “IV Conferenza Plenaria”, che risultava essersi tenuta a New York negli uffici dell’agenzia dell’ambiente americano, l’Epa. La disponibilità di quei locali, nel novembre 2000, gli era stata data da Michael Penders, un funzionario dell’ufficio legale dell’Epa che avrebbe poi lasciato l’amministrazione statale di lì a pochi mesi per fondare una propria società di consulenza. Come dice Penders: “Gli demmo un ufficio per un’ora. Ho solo accettato di dare supporto al gruppo di lavoro legale”. Penders come aveva incontrato Scaramella? “Lo avevo incontrato al convegno della Nato in Lituania. Mi era sembrato un giovane e dinamico professore di legge che aveva messo insieme una rete di scienziati”. Scaramella professore, dopo che è stato anche magistrato antimafia? Tutte balle, ad uso di incredibili creduloni. Un piccolissimo briciolo, davvero molto piccolo, di verità sulla carica di magistrato c’è. Il 6 giugno 2001, con la benedizione del Tribunale del Consiglio giudiziario di Napoli, e una delibera della Assemblea plenaria del Consiglio superiore della magistratura, Scaramella è in effetti riuscito a diventare giudice onorario di tribunale. Giudice onorario, non giudice effettivo e antimafia. Ma all’eclettico Scaramella bastava, come era bastato occupare una stanza per un’ora per inventarsi una conferenza plenari
Secondo lo stesso, Scaramella avrebbe pure avuto un incarico di professore di diritto ambientale presso
Insomma, una vera macchina di falsi che riusciva persino a trovare finanziamenti. Dal Parco del Gargano risultano fatti nel 2002 tre pagamenti, rispettivamente di 51.645, 43.336 e 268.764 euro. E a chi, se c’era un organismo che non esisteva? Semplice: sul cc 27/36249 di una filiale del Banco di Napoli, intestatario del conto Mario Scaramella! Un’altra convenzione nel 2003 per un importo di 500 mila euro venne poi revocata nel giugno del 2004 dal nuovo presidente del Parco, uno scrupolosissimo, a differenza del precedente, avvocato Domenico Gatta, e dal suo consiglio direttivo Una ulteriore convenzione, ma questa volta con l’Ente Parco nazionale del Vesuvio, ha fruttato un compenso di 860.824,34 euro. Ma se dobbiamo dare atto a Scaramella di una notevole inventiva, sempre nella truffa, c’è da domandarsi a che livello possa essere la sicurezza della Nato, dell’Onu o della Cia, o la dabbenaggine di tutti quelli che lo hanno preso per oro colato senza fare un minimo di controllo. Semplicemente incredibile che uno si presenti a uffici importanti e venga immediatamente accettato solo per quello che lui dice. Questa è comunque la storia di Mario Scaramella, “consulente” della commissione Mitrokhin. Commissione che viene chiusa agli inizi del 2006, alla fine della legislatura, senza alcun risultato concreto.
Ma prima che la commissione chiuda, la ricerca di informazioni su Prodi e i leader della sinistra è semplicemente frenetica. Però usare la parola commissione è troppo. Esiste praticamente solo il rapporto tra Paolo Guzzanti il rosso, e il suo “consulente” Mario Scaramella. Ecco quel che si dicono il 28 gennaio 2006 al telefono: Scaramella: “Il segnale che io ho avuto è questo, visto che non c’è una informazione Prodi uguale agente del Kgb, ma parliamo di Friendly Relation, coltivazione, contatti…”. Guzzanti, soddisfatto: “Coltivazione è abbastanza eh?”. Scaramella. “Eh si. Per me è moltissimo però quello che ti dico che…non è la mia posizione. E’ quello che mi viene detto. A questo punto non pretenderete una dichiarazione da chicchessia che dica “Prodi è un agente” perché questo…”. Poi conferma che sta ancora lavorando, e rivela che le informazioni gli sono arrivate da un certo Alexander. Guzzanti il rosso appare soddisfatto: “Ti ho sempre…dal primo momento ti ho detto “accidenti questa è una bomba termonucleare…se è una bomba…se non è non è. Che devo fà…”. Poi Scaramella gli chiede se ha dettagli dell’incontro col Capo, e il rosso racconta: “La notizia ha avuto un forte impatto…quando vado da lui gli dico le cose a voce ma contemporaneamente gli metto sotto i naso un appunto scritto in cui ci sono le stesse cose…Io gli ho detto che il problema di questa faccenda è se poi andiamo a processo è una cosa che dobbiamo dimostrare ciò che diciamo e lui, sorprendendomi un po’, ha detto: “Beh, un momento, intanto li costringiamo a difendersi”. L’ho trovata una reazione estremamente positiva. E’ chiaro che se tu…lui oggi sta in Sardegna e poi c’ha una giornata terribile, per stasera deve cenare con Bossi, quindi oggi non riesco a mettergli il sale sulla coda…”.
Interessante conversazione, che prova alcune cosette. Una è che il burattinaio sa tutto, anzi, consiglia pure. Due, prove che Prodi sia un agente del Kgb non ce l’hanno proprio, ma loro cercano qualcuno che dica: “E’ un nostro uomo” o qualcosa di simile. Infatti, tre, come dice il cavalier Berlusconi, “intanto li costringiamo a difendersi”. L’importante è sparare accuse. Anche se non provate, inesistenti, non importa, si obbliga alla difensiva gli avversari. E’ il classico metodo del grande capo del clan. Però capiamo benissimo la giornata “terribile” del cavaliere: dover cenare con Bossi è davvero tremendamente faticoso!
Tra gennaio e febbraio 2006 Scaramella si è dedicato ad interrogare, a Napoli, ex agenti russi. Le domande del “consulente” vertono su Prodi (ma và!), Oliviero Diliberto, Alfonso Pecoraro, Pino Sgobio (Pdci), Umberto Ranieri (Ds), Alfonso Gianni (Rifondazione), Eugenio Duca (Ds), Antonio Rotondo (Ds). I due ex agenti del Kgb, scappati in Occidente, sono Eugenji Limarev e Alexandr Litvinenko, che è quell’Alexander della telefonata di cui sopra. E qui, sarà una coincidenza o altro, ma siamo propensi per altro, qualche settimana dopo, il 4 aprile, un deputato inglese, l’euroscettico Gerard Batten, nell’aula del Parlamento europeo così parla: “Il generale Trofimov, ex vicecapo dei servizi segreti Psb, avrebbe detto a Litvinenko: “Non andare in Italia, ci sono molti agenti del Kgb tra i politici. Romano Prodi è il nostro uomo lì”. Litvinenko ha riferito questa informazione a Mario Scaramella, della commissione Guzzanti”. Diciamo subito che rendono bene quelle due parole: commissione Guzzanti, che è la versione più esatta. Ma quelle affermazioni finiscono in una bolla di sapone, in quanto non sono per niente controllabili, tanto più che il generale Trofimov è stato ammazzato a fucilate un anno prima, per cui gli si può mettere in bocca qualsiasi cosa. Finita in una bolla si sapone la questione aperta dall’euroscettico Batten all’europarlamento, la vicenda passa sotto silenzio in Italia in quanto la campagna elettorale è in pieno svolgimento e, inoltre, è arrivata troppo tardi per la commissione Mitrokhin. Non, però, per la “commissione Guzzanti”, che pensa bene di passare la notizia, guarda un po’, al Giornale!
Prima di arrivare al clou della faccenda il duo Scaramella-Guzzanti non è certo rimasto con le mani in mano. In sintesi Scaramella si inventa, tra l’altro, anche un presunto attentato alla vita di Guzzanti il rosso, mettendo nel calderone quattro poveracci ucraini che nei loro viaggi settimanali avrebbero fatto traffico di materiale bellico, che peraltro ha fornito proprio Scaramella all’insaputa di quelli. Peccato che verrà ascoltata la sua telefonata che concordava cosa dovevano fare i quattro incopevoli all’oscuro della trama. Il processo ai quattro finirà con la loro assoluzione. Quanto all’ex agente del Kgb Alexandr Litvinenko, costui, in una intervista a Repubblica, afferma di non aver mai fatto il nome di Prodi, in quanto assolutamente non a conoscenza dei fatti. Però qualche tempo dopo viene ripreso da una telecamera, mentre il “consulente” Scaramella gli pone delle domande fuori campo. Domande molto particolari, insistite fino a quando Litvinenko dice la famosa frase lungamente aspettata dal duo: “Prodi è un nostro uomo”, cosa che gli disse uno, morto, al quale glielo aveva riferito un altro, pure questo morto.
E adesso arriviamo al bello. Il primo novembre 2006 Mario Scaramella ha un appuntamento con l’ex del Kgb Alexandr Litvinenko per un pranza presso Itsu, un ristorante di sushi a Piccadilly, Londra. Scaramella, da sua stessa dichiarazione, non mangia nulla, e beve solamente acqua nel corso dell’incontro. Incontro che non dura molto, e Scaramella se ne va. Qualche ora dopo Litvinenko comincia a sentirsi male. Ricoverato, gli viene riscontrata una intossicazione di polonio-210, un isotopo radioattivo del polonio. Nelle prime ore del ricovero Litvinenko sospetta Scaramella di averlo avvelenato. Successivamente accusa il presidente russo Vladimir Putin, prima di morire il 23 novembre. Piccola annotazione logica. Ma uno che va a pranzo, e poi non mangia niente e se ne va poco dopo, e più tardi l’altro si sente male, non è piuttosto sospetto? Il movente c’era pure da parte di Scaramella: eliminare un testimone scomodo che avrebbe potuto testimoniare.
Dopo che è apparsa su Repubblica una intervista all’altro ex agente del Kgb Euvgenij Limarev, nella quale costui descrive una attività di intelligence collaterale alla commissione proseguita anche dopo la chiusura della stessa per cercare informazioni su presunti collegamenti tra il Kgb ed esponenti del centrosinistra, tra cui il premier Romano Prodi, il vicepremier Massimo D’Alema e il ministro Alfonso Peciraro Scanio, affermando anche di aver incontrato Guzzanti, il 28 novembre il ministro dell’Interno Giuliano Amato apre una indagine sulla attività della commissione, chiedendo ai vertici di polizia, carabinieri e Sisde di verificare “in tempi brevi l’esistenza di ogni documento in possesso di questi organismi circa l’attività della commissione Mitrokhin e l’eventuale utilizzazione di personale delle forze di polizia e Sisde in attività della commissione o in altro modo a essa collegato”.
Guzzanti il rosso ovviamente smentisce: “Non ho mai voluto incontrare né Limarev né Litvinenko. Plaudo all’iniziativa di Amato, così potrò denunciare per calunnia coloro che hanno osato infangarmi. Non esiste ne è mai esistita alcuna struttura legale o illegale”. Interpreta la “bugia di Limarev sull’incontro con me come il tentativo di far credere che
E Scaramella? Visto che le cose si stanno complicando, si fa ricoverare il primo dicembre all’University College Hospital di Londra, lo stesso dove è stato Litvinenko, per sospetta contaminazione da polonio. Un precedente test alcuni giorni prima era risultato negativo. Inizialmente Scaramella nega di essere contaminato, e annuncia: “Sono in possesso di video su politici italiani”. Ma il 3 dicembre lui e Guzzanti il rosso affermano che la dose di polonio trovata nel corpo dello stesso Scaramella è tale da ucciderlo, nientemeno che 5 volte la quantità su Litvinenko. Guzzanti il rosso così riferisce alla Reuters: “Hanno anche detto che, per quel che è noto, nessuno potrebbe mai sopravvivere a questo veleno, perciò è molto improbabile che ci riesca”. Secondo le autorità inglesi, però, Scaramella non è mai stato in pericolo di vita. Appena tre giorni dopo le dichiarazioni di Guzzanti il rosso Scaramella viene dimesso dall’University College Hospital, poiché gli ultimi esami non hanno rilevato alcuna traccia di avvelenamento. Un’altra bufala. Ma lui, imperterrito, continua a dire che “è in possesso di video su politici italiani”.
Il 24 dicembre Scaramella torna in Italia, ma al suo arrivo all’aeroporto di Capodichino a Napoli viene arrestato dalla Digos della Questura di Roma su ordine della Procura di Roma. E’ accusato di traffico illegale di armi, violazione del segreto d’ufficio e calunnia aggravata e continuata. Il 27 dicembre viene sottoposto per sei ore ad interrogatorio di garanzia dal sostituto procuratore di Roma Pietro Saviotti. Dalle prime indagini emerge che Scaramella aveva una rete di informatori che comprendeva poliziotti, agenti della polizia penitenziaria e due uomini della Cia, tra cui Robert Seldon Lady, ex capocentro dell’Agenzia a Milano, coinvolto anche nel sequestro dell’iman egiziano Abu Omar nel febbraio 2003. Il “consulente” finisce così nel carcere di Regina Coeli. Del famoso “video su politici italiani” neppure l’ombra.
L’11 gennaio 2007 Repubblica pubblica ampi stralci di un file trovato in uno dei computer di Mario Scaramella, scritto nello scorso settembre 2006. E’ la continuazione di una campagna di diffamazione nei confronti di Prodi e il suo staff (Luciano Segre, Alessandro Ovi, Stefano Manservisi, Daniela Flamini, Marco Vignudelli), il generale Giuseppe Cucchi (ora direttore del Cesis), i magistrati di Milano Armando Spataro e Guido Salvini, i due giornalisti di Repubblica Carlo Bonini e Giuseppe D’Avanzo. Nel contempo presenta Paolo Guzzanti, Mario Scaramella, Nicolò Pollari e Marco Mancini (freschi ex n. 1 e 2 del Sismi), come obiettivi dell’intelligence militare russa. Secondo Scaramella la fonte di queste notizie sarebbe l’ex Kgb Euvgenij Limarev. Questi, interpellato, nega: “Non sono io la fonte. Ma non mi stupisco. E’ l’ennesima fabbricazione di Mario Scaramella. Se domani associassero il mio nome a un dossier sulla morte di Pinochet, non mi stupirei”. Ora Limarev, consulente del “consulente”, non vuole più a che fare con Scaramella. Dopo aver visto Silvio Berlusconi abbracciare a Mosca Vladimir Putin aveva pronunciato: “Ci hanno fregato!”.
Ma il file non contiene solo le false notizie su Prodi a gli altri, ma anche le istruzioni su cosa devono dire i suoi consulenti russi. Non devono dire cosa sanno, ma quello che vuole Scaramella. Vladimir Ivanidze, coinvolto da Scaramella nel suo file, così commenta: “Se l’autore di questo testo è Mario Scaramella, non dovrebbe essere in una prigione, ma in un ospedale psichiatrico”. Mario Scaramella, il “consulente” di Paolo Guzzanti il rosso, quello che dovrebbe stare, giustamente, in un ospedale psichiatrico, il 21 giugno 2007, dopo sei mesi di carcere, viene ammesso agli arresti domiciliari. Nel frattempo i capi di accusa contro di lui sono più che aumentati. Nell’ottobre 2007
Finisce così, diciamo, la commissione Mitrokhin. Si può riepilogare come quanto scritto dal quotidiano E-Polis Roma: “Dal 2001 al 2006 è stata costituita una commissione parlamentare d’inchiesta, presiduta dal senatore di FI Paolo Guzzanti, allo scopo di dimostrare che i leader del centrosinistra, da Romano Prodi a Massimo D’Alema e Piero Fassino, avevano avuto rapporti con il Kgb sovietico. Questa commissione parlamentare d’inchiesta si è avvalsa dell’ausilio di 47 collaboratrori, scelti dal centro destra tra pensionati dei servizi segreti italiani o ex appartenenti, tra i quali compare il nome di Mario Scaramella, che svolgeva una attività a favore dell’onorevole Berlusconi tesa a screditare l’attuale presidente del Consiglio. E non è tutto, oltre alla commissione Mitrokhin, un’altra commissione aveva pressoché lo stesso scopo: quella sull’affare Telekom Serbia”. Noi possiamo aggiungere che è stato uno sperpero, negli anni, di ingenti risorse pubbliche, non per cercare la verità, ma per altro, come dice anche Andreotti, uno che la sa lunga: “Mah, a un certo punto ho capito che l’unico obiettivo della destra era incastrare qualche politico del centrosinistra, in particolare Prodi e Dini. Il bilancio della commissione Mitrokhin è stato deludente. Non si capiva pià un’acca. Abbiamo convocato capi dei servizi, personaggi di tutti i tipi. Una sfilata di modelli che neanche alla settimana della moda…”.
Lasciata alle spalle anche la bufala della commissione Mitrokhon, torniamo finalmente alla Banca Rasini, o meglio, alla Banca Popolare di Lodi. Nell’estate del 2004 la banca olandese ABN Ambro chiede alla Banca d’Italia l’autorizzazione per salire dal 12,6% al 20% nella quota di capitale detenuto in Banca Antoniana Popolare Veneta, così da diventarne il maggior azionista. Nello stesso periodo la banca spagnola Banco Bilbao Vizcaya Argentaria, BBVA, detiene il 15% del capitale della Banca Nazionale del Lavoro, BNL. Il 14 febbraio 2005
Il 29 marzo 2006
Il 2 maggio 2005 la procura di Milano apre un fascicolo contro ignoti per la scalata dell’Antonveneta. Il reato ipotizzato è aggiotaggio, cioè che si sta cercando di influenzare il prezzo delle azioni della Antonveneta attraverso la diffusione di notizie false. Quindici giorni dopo vengono iscritte nel registro degli indagati 23 persone, tra le quali Giampiero Fiorani ed Emilio Gnutti. Questi è proprietario di Fingruppo, Gp Finanziaria e Hopa, in cui il cav. Silvio Berlusconi ha una partecipazione attraverso Mediaset e Fininvest. In seguito alle indagini, l’8 giugno il tribunale di Padova decide di sospendere il consiglio di amministrazione di Antonveneta. Il 23 giugno
Il 12 luglio Fiorani viene iscritto nel registro degli indagati anche alla procura di Roma. Tre giorni dopo nel registro ci finisce anche Francesco Frasca, responsabile della vigilanza presso Bankitalia. I pm che lavorano sul fascicolo romano sui movimenti del settore bancario sono Perla Lori e Achille Toro. Il 25 luglio i titolari dell’inchiesta milanese, Eugenio Fusco e Giulia Perrotti, dispongono il sequestro delle azioni Antonveneta detenute da BPL e dai concertisti alleati Emilio Gnutti, Stefano Ricucci, i Lonati e Danilo Coppola. Ricucci, proprietario di Magiste, è coinvolto anche nella alquanto poco pulita scalata, mancata, a RCS, ovvero al Corriere della Sera. Ovviamente smentito, ma dietro c’era l’occhio del cav. Silvio Berlusconi, che verso RCS ha voglie antiche. Il decreto di sequestro fa menzione di alcune intercettazioni che coinvolgono Fazio e Fiorani, che per i pm sono la prova che la scalata era stata illegalmente pianificata. Il 2 agosto il Gip Clementina Forleo convalida il sequestro delle azioni in portafoglio ai concertisti e notifica anche la misura interdittiva nei confronti di Giampiero Fiorani e del direttore Gianfranco Boni.
Per una partita da 8 miliardi di euro che coinvolge Ue, governi e governatori di mezza Europa, quello che esce dalle intercettazioni sta tutto in una dichiarazione, sempre sentita al telefono, di Stefano Ricucci: “Stamo a fa i furbetti del quartierino”. Sono le ore 00,12 del 12 luglio 2005 quando il governatore Antonio Fazio decide di telefonare a Giampiero Fiorani: “Ti ho svegliato?”, domanda. Fiorani: “No, no”. Fazio: “Allora, ho appena messo la firma, eh”. Malgrado l’ora, Fiorani non sa come ringraziare: “Ah…Tonino, io sono commosso, con la pelle d’oca. Gurda…ti darei un bacio in questo momento sulla fronte, ma non posso farlo. ..So quanto hai sofferto, credimi…prenderei l’aereo e verrei da te in questo momento se potessi…Io non volevo che il nostro rapporto personale fosse tale da influenzarti in qualunque cosa, il rapporto era tuo, solo tuo e di questo il Paese oltre a Giampiero ti saranno per sempre grati”. E’ notevole anche il rapporto che ha Fiorani con la signora Fazio, Maria Cristina Rosati, al punto che la chiama “tesoro”, e lei “Ginpi”, oltre ad adularlo: “Tu sei l’aquilone. Devi volare alto” mentre stanno parlando di un versamentodi 5 mila euro di beneficenza per i legionari di Cristo, nelle cui file milita la signora. E ancora Fazio che invita Fiorani in via Nazionale “per verificare alcune cose”, ma ad entrare “come al solito dal retro”.
Il 29 luglio l’Associazione per i diritti degli Utenti e Consumatori, Aduc, ricorda che in passato sono già stati accertati dalle autorità competenti, per vicende analoghe, violazioni identiche a quelli di cui oggi è accusato Fiorani. Rivela che
Dopo le intercettazioni, pubblicate da Repubblica e Corriere, la bufera investe il governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio. Rchieste di dimissioni arrivano dall’opposizione, mentre il governo tergiversa. Il ministro dell’Economia Siniscalco vorrebbe effettivamente che Fazio se ne andasse, in quanto, come detto ai colleghi del governo nella riunione del consiglio dei ministri del 4 agosto, l’Unione europea è preoccupata, gli occhi dei nostri partner sono su di noi, come conferma pure il portavoce del commissario Ue al Mercato Interno, Oliver Drawes. Ma nella riunione, come precisato dal leghista Maroni, “non sono stati avanzati atti di accusa contro Fazio”. Insomma, la posizione del governo, non di Siniscalco, è di lasciare le cose come sono.
Il 16 settembre Giampiero Fiorani si dimette dalla carica di amministratore delegato della BPL, dopo una nuova ipotesi di reato a suo carico. Oltre che aggiotaggio, insider trading e ostacolo alla attività di vigilanza della Consob, ora Fiorani deve rispondere anche di falsa dichiarazione a pubblico ufficiale, falso in bilancio, falso prospetto. Il 22 settembre il ministro Siniscalco, vista la posizione poco decisionista del governo, si dimette per protesta. Il 29 settembre filtra la notizia che il governatore della Banca d’Italia è indagato, sin dai primi di agosto, dalla procura di Roma per abuso d’ufficio nell’ambito dell’inchiesta Antonveneta. Il 6 dicembre l’intero Cda, il comitato esecutivo e i sindaci di BPL vengono indagati per aggiotaggio sui titoli di banca. Il 7 dicembre Giovanni Consorte, ad della compagnia di assicurazione Unipol, viene iscritto nel registro degli indagati per aver partecipato al rastrellamento delle azioni Antonveneta per conto di Fiorani.
Il 13 dicembre 2005, con l’ulteriore accusa di associazione a delinquere, viene arrestato a Milano Giampiero Fiorani. Arrestati anche Gianfranco Boni, ex direttore finanziario di BPL, e Silvano Spinelli, ex dirigente sempre di BPL. Mandato di arresto per Fabio Massimo Conti e Paolo Marmont, gestori del fondo Victoria Eagle, con sede a Lugano ma registrato alle isole Cayman, coinvolto nelle operazioni di Fiorani. Conti è già in arresto, Marmont è in Svizzera. Lo stesso giorno viene indagato per aggiotaggio Vito Bonsignore, europarlamentare dell’Udc, imprenditore, proprietario di Gefip, società partecipante al concerto organizzato da Fiorani.. Unico politico al momento coinvolto nello scandalo. Il 15 dicembre Giovanni Consorte viene indagato dalla procura di Roma per aggiotaggio, manipolazione del mercato e ostacolo alla autorità di vigilanza, nell’ambito dell’inchiesta sulla scalata a BNL, dopo che
Il 17 dicembre viene interrogato Giampiero Fiorani, e saltano fuori delle vere primizie. In un primo momento conferma la concessione di prestiti a condizioni agevolate ad esponenti politici di centrodestra per ottenere il salvataggio di Antonio Fazio. Tra le misure atte allo scopo, anche il salvataggio, già detto, della Credieuronord, la fallimentare banca leghista. Successivamente emergerà anche la concessione di denaro in contanti a esponenti politici di centrodestra, dei quali vedremo più avanti l’elenco. Quello che salta fuori nell’interrogatorio è l’ammissione di aumenti illeciti delle commissioni bancarie, altrettanto illegali sottrazioni di soldi da conti correnti di persone da poco defunte e addirittura raids nelle cassette di sicurezza. Il tutto per fare soldi allo scopo di acquisire Antonveneta.
Il 19 dicembre, in un sussulto di dignità, il governatore della Banca d’Italia Antonio, Tonino, Fazio, il cattolicisimo, rassegna le sue dimissioni dalla carica. Dimissioni che vengono accettate dal Consiglio Superiore della Banca Centrale il giorno dopo. Il 28 dicembre si dimette anche l’ad di Unipol Giovanni Consorte, causa l’allungarsi dei capi d’accusa nell’inchiesta. Consorte ha aiutato Fiorani nella illegale scalata all’Antonveneta, ricevendo vantaggi per l’acquisizione da parte di Unipol di BNL. Il 3 gennaio
Sempre il 3 gennaio 2006 gli olandesi di ABN Amro acquistano definitivamente il controllo di Antonveneta. Il 10 gennaio
Il 2 gennaio econo su “Il Giornale” di proprietà di Paolo Berlusconi, fratellino del cav. Silvio, ampi stralci di intercettazioni telefoniche tra Giovanni Consorte e il segretario dei Ds Piero Fassino, risalenti al luglio 2005. Tali intercettazioni erano risultate irrilevanti ai fini giudiziari, e non erano nemmeno state trascritte dalla magistratura, ma servono politicamente a Silvio Berlusconi, visto le prossime elezioni del 9 aprile. Il 12 gennaio il cav. Silvio Berlusconi va a Porta a porta, e allo schienante conduttore Bruno Vespa “rivela” di essere a conoscenza di fatti riguardanti l’implicazione dei Ds nella questione Unipol. Invitato più volte dagli esponenti dell’Unione presenti, il giorno dopo il cav. Berlusconi si reca alla procura di Roma, dove resta 30 minuti a colloquio con i magistrati. All’uscita dice di non aver parlato di fatti penalmente rilevanti, ma di essere venuto a conoscenza da Tarak Ben Ammar di un incontro tra i vertici delle Generali Assicurazioni e quelli dell’Unione, i quali avrebbero esercitato pressioni affinché Generali vendesse a Unipol la propria quota di BNL.
Il 18 gennaio viene sentito dai magistrati il presidente di Generali Antoine Bernheim, che smentisce categoricamente di aver ricevuto pressioni. Cosa smentita pure da parte di Tarak Ben Ammar: “mai io e Bernheim abbiamo detto al presidente del Consiglio che esponenti politici di sinistra o destra abbiano fatto pressioni”. Il 25 gennaio la procura di Roma chiede l’archiviazione del fascicolo, non avendo riscontrato fatti penalmente rilevanti alle dichiarazioni del cav. Berlusconi, come pure la non sussistenza dei presupposti per l’avviamento di un procedimento di calunnia nei confronti di quest’ultimo. Ma perché il cav. Berluscon, che anche stavolta ha mentito, ha voluto fare questa inutile furbata? Perché, come dice lui, “per prendersi una soddisfazione”. Cioè, andare lui stavolta a denunciare, non essere denunciato dagli altri. Solo che questa è stata solo una buffonata, mentre quando si è trattato di andare per rispondere alle accuse ha sempre cercato di evitare la cosa. Peccato che non abbia mai detto dove ha preso tutti quei soldi dei quali già abbiamo parlato.
Per quanto riguarda le intercettazioni pubblicate da “Il Giornale” non si è a conoscenza delle fonti che lo hanno permesso. Di intercettazioni sono abbastanza piene le pagine di diversi giornali, ma queste del giornale di famiglia sono un po’ particolari: non sono mai state trascritte dalla magistratura. Di conseguenza è come se non esistessero. In seguito all’ispezione ordinata dal Ministero della Giustizia, il dischetto contenente gli originali viene poi trovato ancora nella busta sigillata. Durante l’audizione parlamentare di un componente dei servizi segreti italiani, i parlamentari Ds hanno invitato i servizi ad astenersi da qualsiasi intervento che potesse condizionare l’esito della campagna elettorale. Pensate che i servizi abbiano accolto la richiesta? In fin dei conti è più che probabile che siano stati proprio i servizi a passare l’informazione,
Prima degli ultimi atti della Banca Popolare di Lodi, o Italiana, ecco l’elenco delle principali società dell’ex gruppo che Fiorani era riuscito a costituire a colpi di atti non proprio puliti.
Banca Popolare Italiana, Banca Popolare di Cremona, Banca Popolare di Crema, Banca Popolare di Mantova, Banco di Chiavari e della Riviera Ligure, Cassa di Risparmio di Lucca Pisa Livorno SpA, Banca Caripe, Bipielle ICT SpA, Bipielle Società di Gestione del Credito SpA, Banca Valori private banking, Bipielle Bank (Suisse) private banking, Efibanca banca d’affari, Bipitalia Ducato credito al consumo, Bipitalia Gestioni SGR risparmio gestito, Bipitalia Alternative SGR risparmio gestito, Finoa bancassicurazione, Bipielle Real Estate Immobiliare.
E questo è una parte dell’elenco dei prestiti elergiti da Fiorani al centrodestra. 2.126.697 di euro alle società Rocksoil, Stone, Consorzio Tre Esse, In.Te.Co., ecc., di Lunardi, quello che disse che “bisogna convivere con la mafia”; 65.000.000 di euro a Berlusconi e dintorni (30.000.000 al fratellino Paolo per pagare parte della multa per la discarica di Cerro, un fiume di soldi a Milan, Medusa, il Foglio (di Ferrara, ma di proprietà della signora Berlusconi) e Forza Italia). E poi 13.000 euro al ministro (?) leghista Calderoli; 300.000 al sottosegretario di Forza Italia Aldo Brancher; 200.000 al senatore di Forza Italia Romano Cominciali, lo “zio Romy” come era chiamato dai furbetti del quartierino;
Vediamo ora come è finita
L’ultimo dei furbetti del quartierino, Danilo Coppola, l’unico che fino ad ora se l’era cavata, il 1° marzo 2007 viene arrestato. Coppola, uso a circolare con i suoi revolver, e circondarsi di gente armata fino ai denti, considerato dal suo entourage un benefattore, ha la pessima abitudine di tenere rapporti societari con due personaggi: il calabrese Roberto Repaci, già segnalato dalla Guardia di Finanza quale commercialista dei Piromalli, potenti boss della ‘ndrangheta di Gioia Tauro, e Giampaolo Lucarelli, strettamente legato al boss della Magliana Enrico Nicoletti.
E Giampiero Fiorani? Dopo quattro mesi di cella, e due di arresti domiciliari, il 13 giugno 2006 Fiorani torna in libertà, ma con obbligo di non lasciare l’Italia e di firmare due volte alla settimana in Questura. Ritorna alle cronache per una intervista su Repubblica rilasciata il 14 luglio 2007, dove rilascia questa dichiarazione: “Con l’esperienza e le competenze che ho, mi vedo in una trasmissione utile a spiegare agli italiani come non farsi fregare dalle banche e dalle assicurazioni”. Non è male, vero? L’estate 2007 la passa folleggiando in Sardegna nelle discoteche più “in” in compagnia di vallette ed artisti di varia natura, con racconti di notti intime al Billionaire, il locale notturno di Flavio Briatore.
Ma la magistratura non si dimentica di lui. Il 27 settembre 2007 Giampiero Fiorani è rinviato a giudizio con Sergio Cagnotti e Cesare Geronzi per il crac del gruppo Cirio dal Gup di Roma Barbara Callari. L’ultima avventura tentata con nuovi amici, tra i quali il manager dei Vip Lele Mora, personaggio abbastanza disgustoso conosciuto nelle sue follie estive, è il tentivo di scalata della Banca del Titano di San Marino, una piccola banca a dispetto dal nome, un istituto in disgrazia, commissariato dopo tanti guai. A infrangere il sogno sono
Quello che segue ora è un po’ tutto collegato, a dimostrazione di quanto “fedeli” siano i servizi segreti italiani. Cominciamo con Renato Farina. Su Wikipedia sta scritto: “Renato Farina (Desio, 10 novembre 1954) è un giornalista e scrittore italiano”. Non lo giudichiamo come scrittore, in quanto non ci interessa quello che ha scritto. Ma come giornalista qualcosa ci sarebbe da dire, non ritenendo che l’appellativo di “giornalista” gli sia consono. Farina ha iniziato a scrivere su “Solidarietà”, poi sul settimanale “il Sabato”. Ospite fisso ai meeting di Comunione e Liberazione. In televisione è stato autore e conduttore de “L’Infarinata” su Raisat Extra, e consulente di Gad Lerner per il programma “L’Infedele”. E’ stato vicedirettore di Vittorio Feltri al “Giornale” e al “Resto del Carlino”. Fino all’ottobre 2006 è stato vicedirettore di “Libero”, che ha fondato, con Vittorio Feltri, nel luglio del 2000. Come si vede, Farina ha albergato, ed alberga tutt’oa, nelle macchine da guerra del clan berlusconiano. Infatti anche “Libero” appartiene all’armata del cav. Berlusconi.
Secondo lo stesso Farina, già dal 1999 faceva parte del Sismi. Nel giugno 2004 Nicolò Pollari, direttore del Sismi, gli dà, tramite il suo tuttofare Pio Pompa, l’ordine di recuperare da “Al Jazeera” le immagini dell’esecuzione di Fabrizio Quattrocchi, il mercenario. E’ in questa operazione che nasce il suo nome di codice: “Betulla”! In seguito, con il suo operato contribuisce alla liberazione della giornalista de “Il Manifesto” Giuliana Sgrena, tenuta prigioniera in Iraq dall’Organizzazione della Jihad islamica. Chiariamo subito che queste sono sue affermazioni. Per essere più chiari, le affermazioni di un megalomane. Renato Farina, per restare nell’ambiente Iraq, è quello che massacrò letteralmente il povero Enzo Baldoni appena rapito, scrivendo sulle colonne di Libero: “Gli esperti dell’Intelligence atlantica hanno molti dubbi su tutta la vicenda. Il volto del prigioniero non rivela contrazioni inevitabili per chi si trovi sull’orlo dell’abisso. Non appaiono intorno all’italiano uomini armati o mascherati. Potrebbe essere una recita”. Chissà come, una settimana dopo si rifà descrivendo nei particolari, solo lui, unico, il barbaro assassinio di Enzo Baldoni. E senza mai chiedere scusa del precedente articolo. C’è da notare che nonostante Farina “conoscesse” i particolari della morte di Baldoni, il corpo di Enzo Baldoni non è mai stato recuperato. E per quanto riguarda la “liberazione” della Sgrena, ci risulta che ad agire sia stato il povero Nicola Calipari, rimasto ucciso dagli americani. Non è che è stato “Betulla” ad avvisarli che stavano arrivando?
Il 14 maggio 2006 Farina chiede al suo cronista Antonelli di procurargli un incontro con il pm di Milano Armando Spataro, che si sta occupando del caso Abu Omar. Il 22 maggio viene intercettato al telefono con Pio Pompa. Farina: “Senti Pio, domani alle cinque vedo Spataro per un’intervista”. Pompa: “Micidiale, benissimo…appena raggiungo il capo (Pollari, ndr) ti chiamo…e concordiamo un attimo”. Come dire: ci pensiamo noi a dirti le domande da fare a Spataro. Un’ora dopo, alle 13,26, telefonata tra Pompa e Pollari. Pollari: “Ma lui (Farina) sa cosa dire?. Pompa: “Sì, ma è il caso che si ripassi la lezione insieme a noi”.
Pio Pompa voleva che Farina facesse una falsa intervista a Spataro, con due obiettivi: capire se il Sismi fosse coinvolto nell’inchiesta su Abu Omar e depistare le indagini fornendo false informazioni. Le domande sono concordate con il Sismi, ma Betulla-Farina va subito al sodo, troppo alla lettera: “Il Sismi c’entra con Abu Omar?”. Come racconterà Antonelli, che è con lui,: “I primi dieci minuti sono stati un crescendo di tensione, anche perché Farina fece subito cenno a D’Ambruosio”. Operazione depistaggio. A quel punto Spataro dice: “Verbalizziamo”, e lui rivolto ad Antonelli: “Butta giù due appunti”. Così, senza saperlo, Antonelli compila una informativa per il Sismi. Infatti quegli appunti Antonelli li gira a Farina, che aggiunge di suo e poi li gira a Pompa, che a sua volta gira tutto a Pollari.
Il 26 maggio, ore 18,38, Pio Pompa telefona a Stefano Cingolani, direttore del “Riformista” che sta quasi per lasciare. Pompa: “Stefano…questi devono andare vaffanculo con la tua penna”. Cingolani: “Ma che dici?”. Pompa: “Gli Angelucci, tutti quanti, capito?”. Cingolani: “Si, sì”. Pompa chiede anche a Cingolani di redigere anche un documento per il Sismi: “Si tratterebbe di mettere su la tua penna per fare…che ti devo dire…dieci cartelle di alto profilo”. Cingolani tentenna: “devo vedere le mie figlie”, ma poi cede. In un’altra telefonata del 13 giugno, ore 14,00, Pompa, parlando del caso Abu Omar, racconta a Cingolani: “Esiste un documento della Commissione Europea firmato da Prodi che di fatto agevolava i voli e le rendition”. Cingolani, che sta per lasciare il Riformista: “Perché non la tiriamo fuori? Dai, facciamo l’ultima follia”. Non con il Riformista, ma la storia finisce invece sulle pagine di Libero, guardà un po’, che titola in prima pagina: “Sorpresa, dietro le missioni Cia il visto Prodi”. Tanto per cambiare, un altro falso.
Il 6 luglio le notizie sui quotidiani parlano di un ufficio clandestino del Sismi, dove il funzionario Pio Pompa gestisce migliaia di dossier screditanti. Il direttore di Libero informa che Farina e Antonelli sono indagati. Il 7 luglio Farina viene interrogato: è indagato per favoreggiamento. Sono quasi 200 pagine per quello che verrà definito più che interrogatorio una psicanalisi, seduta autocoscienza, autoflagellazione e delirio di onnipotenza, alternati nella scia di un progressivo distacco dalla realtà. E’ lì che si viene a sapere che Farina è l’agente Betulla, stipendiato dal Sismi.
Alla fine dell’interrogatorio, segretato, arrivano i primi sms di solidarietà: da l’Opinione, dal Giornale, dallo stesso Feltri, che prevede che Farina scriverà le sue impressioni su Libero Cosa che infatti avviene. L’8 luglio appare sulle pagine di Libero la “confessione” di Betulla-Farina, rivolta direttamente a Feltri: “Confesso. Ho dato una mano ai nostri servizi segreti militari, il Sismi. Ho passato loro delle notizie, ne ho ricevute, ho cercato contatto persino con i terroristi, mettendo a disposizione le mie conoscenze, ma anche il mio corpaccione. Ho usato tutto, secondo me dentro i confini della legalità, di certo seguendo una scelta morale trepidante ma molto salda. Sono retorico, lo so. Mi sto costruendo un monumento, ma tanto mi hanno buttato giù preventivamente. Se avessi messo in giro la voce che ero una fonte del Kgb si sarebbe alzato un muro di garantismo. Stare dalla parte dei nostri, giocandosela, merita invece la fucilazione immediata. Quando è cominciata la quarta guerra mondiale, quella scatenata da Osama Bin Laden in nome dell’Islam contro l’Occidente crociato ed ebreo, ero animato da propositi eroici….La mia ambizione è sempre stata inconsciamente quella di Karol Wojtyla: lui morire nei viaggi, io sul fronte, magari in Iraq o in Qatar. Sono immodesto anche nel paragone. Vanità e protagonismo della mutua, incoscienza, ma credendoci, buttandomi tutto. Sapevi già delle mie avventure sul filo del rasoio, convinto di riuscire a raccontare meglio le cose se però risolvevo anche i problemi del mondo. Hai sempre cercato di farmi ragionare, di trattenermi. Poi di solito ti arrendi tu: non riesco a concepire altro modo di fare il giornalista. Mi ricordo la tua sfuriata di quando ero andato vicino all’Iraq senza dirti nulla, e in più scrivendo un articolo sui tagliatori di teste di un camionista bulgaro vicino al luogo del delitto”.
Che dire? Delirio di onnipotenza, tanto da paragonarsi a Papa Wojtyla. Roba da psicanalisi ma, soprattutto, balle, semplicemente balle! Ma persino umoristico quando dice che è andato vicino all’Iraq. Vicino all’Iraq, non in Iraq! Comunque, per sintetizzare, il 2 ottobre 2006 l’ordine dei giornalisti della Lombardia lo sospende per un anno per aver pubblicato notizie false in cambio di denaro dal Sismi. Già, Betulla, che tra l’altro ha una faccia che potrebbe anche sembrare paciosa, ma è semplicemente disgustosamente rivoltante, era pure stipendiato, oltre che prendersi anche lo stipendio da giornalista. “Giornalista” specializzato in notizie false, ovviamente a senso unico, e si può tranquillamente indovinare verso chi. Nel dicembre 2006 il sostituto procuratore di Milano ne chiede il rinvio a giudizio con altre 34 persone, nell’ambito dell’inchiesta sul rapimento dell’ex iman di Milano Abu Omar. 32 di esse sono accusate di concorso nel sequestro, Betulla-Farina (accusato di aver organizzato una falsa intervista con i magistrati al solo scopo di raccogliere informazioni sull’indagine) e i funzionari del Sismi Pio Pompa e Luciano Seno. Sotto processo nel gennaio 2007, il 16 febbraio 2007 patteggia la pena, e viene condannato a sei mesi di reclusione. Pena immediatamente commutata in una multa di 6.800 euro.
Il 29 marzo 2007, su richiesta avanzata dal Procuratore generale della Repubblica di Milano, Renato Farina, detto Betulla, viene radiato dall’ordine dei giornalisti. Ma siccome da quelle parti il rispetto delle regole, e delle leggi, è piuttosto aleatorio, dal 30 marzo Betulla continua a collaborare con Libero nelle vesti di semplice opinionista. Il direttore Feltri dice che Farina avrebbe continuato a scrivere “per noi in base alla Costituzione che consente fino ad ora la libera espressione del pensiero”. Davvero umoristico, visto che
Con quello che segue ritorniamo a parlare di Telecom, ma non Serbia. Stavolta è il caso dello spionaggio da parte della Security di Telecom, con alcuni personaggi già passati. Partiamo con un antefatto. Oliviero Dal Toso, dirigente della Coca Cola Italia, responsabile delle ricerche di mercato per l’Austria e
Il riferimento al caso Dal Toso è perché i dossier illegali dovrebbero, secondo legge, essere distrutti. Ma non è quello che vorrebbe sia il Dal Toso, sia il gip Salvini, il quale scrive: “Il dossier relativo a Dal Toso era presente nel dvd sequestrato a persona vicina a Cipriani e porta il numero di pratica Z0032300, e sarebbe stato pagato dalla Coca Cola 133 milioni di lire configurandosi quindi come un gravissimo episodio di sorveglianza illegale ed intimidazione collegata al discredito della vittima, anche se non necessariamente la società committente poteva essere al corrente dei metodi usati dagli uomini di Cipriani. Ne consegue che, come richiesto nella memoria di opposizione quale attività suppletiva di indagine, anche il dossier della Polis d’Istinto relativo al Dal Toso può illuminare i comportamenti successivi nei suoi confronti, considerando anche se il Carpiceci stava appena entrando in Coca Cola quando tale attività di spionaggio si era da poco esaurita, non può negarsi che, in una logica aziendale, un comportamento scorretto anche nel corso di un giudizio e di una normale causa di lavoro può ben spiegarsi anche con le scelte censurabili in precedenza”. Pertanto il gip Salvini si rivolge alla Consulta sollevando eccezione di costituzionalità. “Nessuno può garantire alla persona offesa che prima del sequestro dei dossier illegali un numero indefinito di copie, ad esempio dvd, non sia già stato fornito e possa prima o poi entrare in circolazione. Distruggendo anche la copia sequestrata, anche senza il consenso e anzi contro la volontà della persona offesa, questa è privata in molti e non prevedibili casi di un importante strumento di difesa”.
In un altro filone sono indagati, con l’accusa di accesso abusivo a sistema informatico, favoreggiamento e violazione della legge elettorale, ancora Francesco Storace con altre nove persone. Tra queste Nicola Santoro e Vincenzo Piso, già visti sopra. Piso è anche il vicepresidente del consiglio comunale di Roma di An. Santoro, invece, ha la particolarità di essere figlio del magistrato della commissione elettorale presso la corte d’appello, quella che inizialmente aveva escluso dalle elezioni regionali la lista della Mussolini. Inizialmente, perché il successivo ricorso della Mussolini era stato poi accolto. Quello che si nota è la presenza dei fascistelli di An, loro tutti ligi e seri (a parole). Il processo avrebbe dovuto iniziare il 15 maggio 2007, ma ha subito diversi rinvii prima per l’unificazione dei due filoni d’unchiesta, poi per respingere, il 18 ottobre 2007, la richiesta di alcuni difensori di trasferire il procedimento a Perugia. Il processo resta a Roma. Intanto il 31 maggio è stata ammessa la costituzione di parte civile del Comune di Roma, della lista Alternativa Sociale (ma
Quello che invece viene chiamato lo “Scandalo Telecom-Sismi” fa i suoi primi passi nel dicembre 2004 quando, nella perquisizione di una casa alla porte di Pavia, dove Giuliano Tavaroli vive con la famiglia, viene recuperato un fascio di carte riservate. Giuliano Tavaroli è il responsabile della Security della Telecon, alle dirette dipendenze del presidente Marco Tronchetti Provera. In quei documenti sequestrati ci sono gli organigrammi riservati dell’Autorità nazionale per la sicurezza, del ministero della Difesa, del Viminale, di Cesis, Sismi, Sisde, Arma dei carabinieri, Direzione investigativa antimafia (Dia), Ros, ministero dell’Economia, ministero degli Esteri, della Presidenza del Consiglio, dell’amministrazione della Camera dei deputati. Provenienza di queste carte? “I servizi”.
Per la magistratura la custodia di tali documenti, come il fatto che possono essere stati passati dal Sismi, in sé non vuol dire molto. Ma “il dato diventa sorprendente” se viene accertato che Telecom e Sismi si scambiano gli stessi cellulari. Almeno 10 telefoni (3 Nokia, 3 Sony, 4 Samsung) cambiano di mano tra il 2005 e il 2006. Per un periodo funzionano con schede intestate al ministero della Difesa. Qualche tempo dopo due di questi cellulari “vengono utilizzati con schede un uso ai vertici della Security Telecom e Tim: Giuliano Tavaroli e Giacomo Bove; un terzo e un quarto al numero due del Sismi Marco Mancini, che per aumentare la protezione delle sue conversazioni usa anche una scheda svizzera. Su questa utenza, che nella rubrica di Tavaroli viene annotata come “tortellino”, soprannome di Mancini, chiama il responsabile della Security Telecom, ma chiama soprattutto Emanuele Cipriani.
Quando il 30 marzo del 2006, durante il suo primo interrogatorio, Cipriani viene invitato a dare qualche spiegazione per questi contatti, così dichiara: “Erano telefonate a un amico che vedo raramente. Ci si incontrava al casello di Firenze nord, quando Mancini scendeva dalla Romagna a Roma. Così, per comodità e per il piacere di mangiare un panino con la cotoletta”. Non si può certo dire che i pm abbiano preso bene le affermazioni di Cipriani, anche perché loro hanno dei dati. Cipriani ha chiamato con una regolarità ossessiva Mancini per almeno 547 volte su una delle sue utenze, e almeno 833 volte su un’altra. Per i pm “neppure due appassionati amanti si sentono con tale frequenza. I contatti devono avere una spiegazione professionale”.
Un anno prima, il 10 maggio 2005, era già stata interrogata una dipendente della Polis d’Istinto, dato che il caso delle intercettazioni abusive è ormai scoppiato. Ecco quello che racconta la donna ai magistrati: “Pirelli era uno dei nostri migliori clienti, e i mandati erano eseguiti regolarmente, anche se c’era una sproporzione tra il lavoro in concreto svolto e i compensi richiesti in cambio”. La dipendente parla di di due società che fanno capo a Cipriani:
Piuttosto divertente l’ultima affermazione, tanto più che i compensi a Cipriani da parte della Pirelli-Telecom, per fare “niente”, sono stati più o meno 14 milioni di euro, con un giro che ricorda molto quanto già scritto: il denaro da Londra va a Montecarlo, poi Svizzera, indi Lussemburgo in un conto della Deutsche Bank, intestato alla Plus venture management, società off shore con base nel paradiso fiscale delle Isole Vergini britanniche. Uno dei tanti misteri che poco a poco, grazie a testimonianze diverse, saltano fuori. Un articolo di Repubblica del 23 maggio 2006 riporta che praticamente sono stati intercettati tutti. Il numero varia da “decine e decine di migliaia” a “i file sono centomila”.
La banda Tavaroli-Cipriani-Mancini, che tra l’altro sono amici di vecchia data, dalla gioventù, ha spiato l’intera classe dirigente, politica, economica, finanziaria del Paese. Tavaroli, ex ufficiale della sezione Anticrimine dei Carabinieri di Milano passato poi alla sicurezza di Pirelli-Telecom, ha spiato persino il suo diretto datore di lavoro, Marco Tronchetti Provera, e gli affari di sua moglie Afef. E stato lo stesso Tronchetti Provera a chiederlo? Tra le altre scoperte, un foglietto in cui era scritto di un patto sottoscritto da Bossi, Berlusconi e Tremonti dove il primo giurava fedeltà assoluta dopo la concessione da parte di Berlusconi di 70 miliardi di lire. Non la riteniamo una grande scoperta, La cosa era stata riportata persino dai giornali all’epoca. Fu poco prima della elezioni del 2001, dopo che Bossi aveva imperversato con accuse a tutto campo verso Berlusconi, definito più volte “il mafioso di Arcore”. Fu un accordo con vil denaro firmato, tra l’altro, davanti ad un notaio.
A questo punto necessita parlare di Adamo Bove. Bove è un ex poliziotto della Dia, ex commissario capo della Polizia di Stato dal 1995 al 1998, poi diventato nel 1999 responsabile della funzione Security governance di Tim.Adamo Bove non è indiziato, come invece falsamente è stata messa la voce in giro, Bove da mesi è il referente degli investigatori della polizia postale. Sta indagando, per quello che si sa, su almeno due filoni: lo scandalo Telecom e il commercio delle intercettazioni telefoniche, e il sequestro di Abu Omar, con sullo sfondo di entrambi i servizi segreti. Dal 25 novembre 2005 , con la disposizione numero 11, Tronchetti Provera in persona gli ha tolto l’incarico di rispondere alle richieste della magistratura, creando un apposito “Servizio per l’autorità giudiziaria”, Sag. Dal 10 febbraio 2006 l’amministratore Carlo Buora ha affidato tutta
Ma qualcuno deve aver subdorato qualcosa. Tra l’altro il nuovo capo della Security Bracco è solo un pro forma in quanto, anche se formalmente dimesso, ma in realtà autosospeso, Giuliano Tavaroli continua a fare il bello e il brutto, mantenendo lo stipendio di manager Pirelli in Romania e persino di “consulente strategico antiterrorismo”. Nonostante sia già indagato, è ancora raccomandato, secondo la sua stessa azienza, da Gianni Letta, braccio destro del cav. Berlusconi al governo. Ma torniamo a Adamo Bove.
Adamo Bove deve controllare, su richiesta della Digos, quattro cellulari: tre appartengono ai primi 007 italiani (Mancini, Pollari, Pompa), il quarto è intestato alla Pirelli. E’ il telefonino di Tiziano Casali, capo da anni della scorta di Marco Tronchetti Provera. Bove è l’unico, in tutto il gruppo, a conoscere questo segreto. Nel maggio 2006 riceve una telefonata dal responsabile, di facciata, della Security Gustavo Bracco. Questi vuole sapere da Bove a chi appartengono i quattro cellulari che
Bove è convinto di esserla cavata, ed è certo di vincere lo scontro in atto nell’azienda tra lui e Fabio Ghioni. Ghioni occupa, a partire dal 2002, un posto chiave nella Telecom di Tronchetti Provera. Difende i server dagli attacchi dei pirati del web, e attacca a sua volta i computer di quelli che considera nenici della multinazionale: giornalisti, manager, compagnie telefoniche concorrenti come Vodafone, come pure le industrie di pneumatici che possono in qualche modo dare fastidio alla Pirelli di Tronchetti. Per fare questo Ghioni ha formato un gruppo autodenomitatosi “Tiger Team”. E’ il fiore all’occhiello dell’azienda il Tiger Team; un sistema di sicurezza privata trasformata in un esercito di spie in grado di fornire informazioni su chiunque interessasse alla compagnia telefonica o al suo proprietario. Una macchina da guerra di attività illegali, ed un vero pericolo per Adamo Bove, che ancora non sa.
Pochi giorni dopo il colloquio telefonico registrato da Bove succede l’imprevedibile: il Garante accusa Telecom di spiare i tabulati con accessi informatici anonimi. L’azienda risponde con una indagine interna (audit), e a guidarla sarà proprio Fabio Ghioni. Il 7 giugno questi consegna il risultato: è tutta colpa di Radar, ovvero Adamo Bove. Lo stesso giorno Ghioni soffia il nome di Bove ad almeno due giornali, e pure al Sismi. A quel punto Bove si sente mancare la terra sotto i piedi. Mentre il 5 luglio viene arrestato Marco Mancini, che esce accusando il suo superiore, il generale Pollari, per la questione Abu Omar, che vedremo meglio piu avanti, Adamo Bove viene pedinato da due “giovani balestrati, che si facevano notare per intimidirlo”. Testimonia il padre: “Una notte, esasperato, me ne ha mostrato uno appostato sotto casa”. Il 21 luglio 2006 Adamo Bove vola dal cavalcavia che porta al Vomero, a Napoli. Alcuni testimoni affermano di averlo visto cadere, ma nessuno lo ha visto lanciarsi. Il padre Vincenzo accusa, in una lettera a Telecom: “Mio figlio è stato isolato e condannato da quegli stessi dirigenti, espressi dalla gestione Tronchetti al pari di Tavaroli, che hanno affidato l’audit a uno come Ghioni”. Per la magistratura è suicidio. La registrazione del colloquio telefonico tra Bove e Bracco salta fuori solo dopo oltre un anno quando, nel settembre 2007, un pm apre personalmente una chiavetta informatica sequestrata già nel 2005 nell’ufficio di Tavaroli scoprendo un nuovo archivio illegale. Sarà per coincidenza, o per quanto contenuto in quell’archivio, ma proprio allora
Dopo la morte di Adamo Bove, che resta pur sempre misteriosa, tanto che qualcuno pensa che sia stato “suicidato”, che è poi il metodo dei servizi segreti, il caso Telecom esplode. Il 20 settembre 2006, i pm milanesi emettono 21 ordinanze di custodia cautelare per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e alla rivelazione di segreti d’ufficio. Finiscono in carcere Stefano Bilancetta, Fabio Bresciani, Moreno Bolognesi, Emanuele Cipriani, Alessia Cocomello, Gregorio Dovile, Antonio Galante, Marcello Gualtieri, Pierguido Iezzi, Giorgio Serreli, Antonio Michele Spagnuolo, Giuliano Tavaroli, Paolo Tilli, Spartaco Vezzi, Francesco Marella, Andrea Gianluca Magrassi, Cristiano Martin e Santi Nicita. Arresti dociliari per Rolando Bidini, Giovanni Nuzzi e Nicolò Maria Fabrizio Rizzo, Evita il carcere Marco Bernardini, investigatore privato, per aver ammesso subito i lavori fatti per conto della Telecom.
Di questi nomi Nicolò Rizzo è un ex sottufficiale dell’Arma dei Carabinieri; Fabio Bresciani appartiene alla Polizia di Stato; Stefano Bilancetta alla squadra mobile della Questura di Firenze; Alessia Cocomello in servizio opressoUpg Questura di Prato; Giorgio Serrali è un ex ufficiale superiore della Guardia di Finanza; Gregorio Dovile è brigadiere effettivo dei Carabinieri al Centro operativo della Dia a Firenze; Antonio Michele Spagnuolo è un assistente di Ps in congedo dal 26/4/2006; Giovanni Nuzzi è ufficiale di Pg in servizio presso
Tra gennaio e il 22 marzo 2007 Giuliano Tavaroli riceve altri tre ordini di custodia cautelare, anche se già in carcere. I provvedimenti di arresto colpiscono, il 18 gennaio, anche Fabio Ghioni. I capi di imputazione comprendono i reati di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione di pubblici ufficiali, rivelazione del segreto d’ufficio, appropriazione indebita, falso, favoreggiamento e riciclaggio.
Il primo giugno 2007 vengono concessi gli arresti domiciliari a Giuliano Tavaroli e a Marco Mancini. Il 5 novembre sono arrestati a Milano tre tecnici del Tiger Team: Roberto Preatoni (figlio del magnate Ernesto Preatoni), Alfredo Melloni (al secondo arresto per la stessa vicenda) e Angelo Iannone (ex maresciallo dei Ros dei Carabinieri, appartenente alla divisione brasiliana di Telecom). Sono accusati a vario titolo di intercettazione telematica abusiva, appropriazione indebita e associazione a delinquere finalizzata all’illecita acquisizioni di informazioni. L’arresto dei tre è principalmente in relazione a un’altra vicenda di spionaggio internazionale ai danni dell’agenzia investigativa Kroll e Tim Brasil.
Finisce cosi lo scandalo Telecom-Sismi, processi a parte, sulla quale vicenda ovviamente non abbiamo riportato tutto, come d’altronde nei precedenti episodi, altrimenti sarebbe stato molto lungo. Del Sismi parleremo tra poco, ma una domanda ci assilla. Giuliano Tavaroli rispondeva solo a Tronchetti Provera. E’ possibile che il signor Marco Tronchetti Provera, che tra l’altro teneva un conto segreto, il conto “Oro”, nella sede monegasca della Banca del Gottardo, come testimoniato da un ex funzionario della stessa banca, non sapesse proprio nulla delle attività illegali del suo dipendente diretto, tanto più che tale attività era attiva dal 1997?
Prima di passare al Sismi, ecco una breve storiella, a dimostrazione che qualcuno deve divertirsi molto in queste occasioni. Il 29 settembre 2006 parte dal ministero dell’Economia un esposto che mette in moto la procura della Repubblica di Milano. Partono 250 perquisizioni in tutta Italia presso i domicili dei sospettati e in diversi uffici pubblici. 130 persone sarebbero coinvolte. Perché? Perché si è scoperto che Romano Prodi e sua moglie Flavia Franzoni da due anni erano spiati (non sarebbe una novità, in sè), e in almeno 128 volte i controlli illegali riguardavano i conti in banca del premier. Per la verità anche altri sono stati controllati, ma solo per poche volte.. Persino il cav. Silvio Berlusconi, un paio di volte. I giorni in cui maggiormente ci sono stati questi controlli sono stati quelli del 21-24 novembre 2005, 22 gennaio 2006, 30 marzo 2006 fino all’8 aprile. Proprio i giorni precedenti le elezioni. C’è da rilevare che i dati di Prodi sono finiti a un giornale di Reggio Emilia che, però, prima di pubblicare, ha chiesto informazioni allo stesso Prodi. Poi, chissà com’è, è finito sul giornale di famiglia, che ovviamente si è ben guardato di informarsi a sua volta. Quella riportata è la notizia che Prodi ha usufruito del condono nel lascito dei beni ai figli. Dato che il giornale di famiglia rimarca questo, praticamente ammette che quel condono era stato fatto proprio per il cav. Silvio Berlusconi. E’ logico che anche altri, e non solo Prodi, abbiano approfittato. Ma il clan deve usare la notizia, illegittima, per un solo uso: elezioni. E d’altronde chi si è inserito doveva avere qualche interesse, tanto più che per l’entrata all’anagrafe fiscale era necessaria una autorizzazione. Certo che la privacy in Italia ha una vita molto dura.
Il Sismi. E’ la sigla che identifica il “Servizio per le Identificazioni e
Come si vede, ci sono vari compiti per il Sismi, e per tali compiti è la presidenza del Consiglio che dà le direttive tramite il Ministero della Difesa. Quali direttive abbia dato le possiamo vedere in alcuni episodi nei cinque anni del governo di destra. Scartiamo subito il caso Telecom-Sismi, che abbiamo appena descritto, e andiamo subito al cosidetto “Nigergate”.
Nigergate è il nome dato ad una inchiesta svolta dai giornalisti Carlo Bonini e Giusppe D’Avanzo di Repubblica. Verso la metà del 2002 l’amministrazione Bush asseriva che Saddam Hussein era venuto in possesso di uranio e altri materiali, sì da poter costruire una bomba nucleare. Una inchiesta di Judith Miller, con Michael Gordon, appare l’8 settembre 2002 sul New York Times, e parla di tubi in alluminio che Saddam Hussein si sarebbe procurato per fabbricare armi atomiche. Già parlare di tubi in alluminio dovrebbe pure far pensare un pochino, ma Bush e compagnia questo non lo fanno. Anzi, nei mesi successivi ricevono pure documenti che provano acquisti di uranio in Niger. Il 28 gennaio 2003 George W. Bush annuncia ufficialmente che il governo inglese è in possesso delle prove che confermano la presenza in Iraq di armi di distruzione di massa. Il povero Colin Powell arriverà persino a mostrare all’Onu modellini di camion pieni di queste armi per dimostrare quanto sopra.
Questo è la versione diciamo ufficiale, ma come si è giunti effettivamente a queste conclusioni? E’ Rocco Martino l’uomo, diciamo così, della provvidenza. Costui, ex agente, definito poi dai giornali come un carabiniere fallito in cerca di denaro, nel 2000 decide di approfittare delle difficoltà francesi in Niger. In quel Paese, infatti, aveva avuto inizio un traffico di uranio clandestino del quale non si riusciva a trovare l’acquirente ultimo. Martino entra in contatto con elementi dell’ambasciata del Niger, dai quali ottiene carta intestata e timbri. Con queste carte Rocco Martino realizza un falso protocollo d’intesa tra Niger e Iraq sull’uranio, che poi vende ai francesi. Questi, però, riconoscono subito l’inattendibilità del documento e abbandonano questa pista.
Con l’arrivo di Nicolò Pollari a direttore del Sismi, Rocco Martino viene richiamato in servizio, portandosi dietro il documento sul traffico di uranio. Tale documento viene consegnato dallo stesso Martino, durante un suo viaggio a Londra, al MI6, mentre da parte sua il Sismi passa il fascicolo a Greg Thielmann della Cia. Qui passa da una scrivania all’altra, con molti analisti che risconoscono l’inconsistenza della storia. Nonostante questo nasce un dossier che afferma l’esistenza di un accordio tra Niger e Iraq per la fornitura di 500 tonnellate di uranio all’anno. Il dossier viene subito contestato, perché le miniere nigeriano non sono capaci di produrre più di 300 tonnellate all’anno. Il direttore della Cia Georges Tenet decide comunque di non ignorare il documento, ma la diffidenza di molti lo fa di nuovo accantonare.
Il 9 settembre 2002, combinazione il giorno dopo l’apparizione sul New York Times dell’inchiesta di Judith Miller sui tubi di alluminio, Nicolò Pollari, dopo che nei giorni precedenti aveva preso contatti con il Ministero della Difesa americano, incontra il vicesegretario di Condoleeza Rice, Stephen Hadley. Hadley mette in relazione i due avvenimenti, e l’11 settembre 2002 chiede alla Cia di utilizzare l’informazione di Martino nel discordo di Bush.
Ma c’è ancora una curiosa aggiunta al caso del Nigergate. Tempo prima, il falso documento di Martino e il dossier della Cia finiscono per essere oggetto di un servizio sul settimanale Mondatori “Panorama”, il cui direttore Carlo Rossella, appartenente al pensiero del clan Berlusconi, di cui è buon amico, va a consegnare il dossier all’ambasciata Usa a Roma
Che dobbiamo dire di tutta la vicenda? Bush ha preso come scusa per intervenire in Iraq proprio quel falso documento, ben spalleggiato da Blair. Si sapeva, e lo si è provato, che non esistevano armi di distruzione di massa. Lo sapeva anche il Sismi, ma è stato complice. Pensate, risulta che il falso dossier era in possesso del Sismi dal 2000 (governo D’Alema), ma era stato archiviato perché ritenuto inattendibile. Il Sismi di Pollari, governo Berlusconi, invece lo ha mandato avanti. Pensare che il cav. Berlusconi non ne fosse stato informato fa un po’ ridere, come fa ridere che non sapesse il suo amicone Gianni Letta, ma sappiamo che da quelle parti sono come le tre scimiette: non vedo, non sento, non parlo, di chiara estrazione mafiosa.
Caso Abu Omar. Hassam Mustafa Osama Nasr, noto come Abu Omar, iman di Milano, viene sequestrato il 17 febbraio
Il fatto è che il rapimento di Abu Omar è avvenuto con la complicità di agenti italiani, del Sismi. I procuratori aggiunti di Milano Armando Spataro e Ferdinando Pomarici hanno rinviato a giudizio 26 agenti della Cia, tra i quali il capocentro di Roma e referente per l’Italia della Cia fino al 2003 Jeffrey W. Castelli, e il capocentro di Milano Robert Seldon Lady, e i vertici del Sismi, il generale Nicolò Pollari e il suo secondo Marco Mancini, e i capocentro Raffaele Di troia, Luciano Di Gregori e Giuseppe Corra. Diciamo subito che ci sono ben poche possibilità che i 26 agenti della Cia possano essere processati in Italia. Anzi, proprio non lo saranno. Ma il punto è un altro. Come sempre dal governo arriva la negazione di aver ricoperto alcun ruolo nella vicenda. Ovviamente Pollari non ha mai comunicato niente, e il cav. Berlusconi resta immancabilmente all’oscuro di tutto. Sarebbe stato necessario, allora, sbattere fuori subito il generale Pollari per mancato riferimento alle autorità competenti, ovvero il governo.
E veniamo all’ultimo caso che riguarda il Sismi, quello che possiamo chiamare “L’archivio segreto di Via Nazionale”. Ai primi di luglio del 2006, mentre
Quell’archivio consiste in centinaia di dossier preparati dal funzionario del Sismi Pio Pompa (nome in codice Pino, amico di Betulla), relativi a giornalisti, magistrati e politici di centrosinistra. Cosa comune al controllati? Essere ritenute “nemici del centrodestra”. L’archivio contiene pure materiale per operazioni contro potenziali avversari politici del centrodestra, piani di occupazione della pubblica amministrazione e degli organi di sicurezza legati al governo, promemoria sui sequestri degli ostaggi italiani in Iraq, materiale relativo a crisi internazionali in Africa e nell’Est Europa. L’archivio sarebbe stato realizzato utilizzando informazioni riservate ottenute da persone introdotte nelle procure, nelle Forze Armate, nella pubblica amministrazione e negli organi di stampa (vedi Betulla/Farina). Secondo gli inquirenti, l’archivio serviva per effettuare una vera e propria campagna di disinformazione ai danni delle personalità pubbliche oggetto di spionaggio. Lo stesso Pompa ammette che il direttore Pollari era informato in ogni momento del procedere dell’attività di spionaggio condotta sui magistrati ritenuti “ostili” a Silvio Berlusconi.
Ovviamente un bel po’ di carte riguardano Romano Prodi. Poi c’è pure Vincenzo Visco, e numerosi esponenti politici, ovviamente anche qui di centrosinistra. Altri documenti riguardano giornalisti (Bonini e D’Avanzo di Repubblica, per esempio), altri magistrati. Interessante il dossier sul “Braccio armato”, o “supporter d’attacco”: un gruppo di magistrati capitanati, nientemeno, da Francesco Saverio Borrelli, l’ex capo del pool “Mani pulite” nell’omonima inchiesta. E poi quello che è apparso dopo le prime indagini. Dall’insediamento di Pollari, 2001, al vertice del Sismi è stata avviata una attività sistematica di sostituzioni (“bonifica”) degli uomini ritenuti non fidati nella struttura di Palazzo Chigi, e di “epurazione” della pubblica amministrazione, con l’inserimento di persone direttamente rispondenti ai nuovi vertici del servizio ed a esse assolutamente leali.
Dal giugno 2007 Pio Pompa e l’ormai ex direttore Nicolò Pollari, dimessosi il 20 novembre 2006, sono indagati dalla procura di Roma con l’accusa di peculato e possesso abusivo di informazione riservate. Pompa è accusato di trattamento illecito di dati personali sensibili, procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato, possesso ingiustificato di documenti e cose atte a fornire notizie concernenti la sicurezza dello Stato.
Il 26 giugno 2007 Pio Pompa è stato sottoposto a perquisizione. Nella sua auto viene trovata copia informatica dell’enorme mole di dati, articoli e dossier che costituiscono l’archivio. Il 3 luglio viene interrogato e, umoristicamente, dice di aver ottenuto le proprie informazioni da fonti pubbliche. Il 4 luglio il Consiglio Superiore della Magistratura interviene accusando il Sismi dell’attività di spionaggio, portando avanti “una attività estranea ai compiti dei servizi fatta per intimidire e far perdere credibilità” ai magistrati. Il Csm accusa il Sismi non solo della raccolta di materiale informatico sui magistrati, ma anche di averne seguito gli spostamenti e di averne spiato la posta elettronica, allo scopo di intralciare le indagini dei magistrati stessi, sorvegliarli, intimidirli e screditarli, utilizzando anche mezzi di informazioni compiacenti. Secondo il Csm i magistrati delle Procure di Milano, Torino, Roma e Palermo sono state oggetto di spionaggio e schedatura. Sorvegliati anche vari consiglieri dell’Associazione Nazionale Magistrati, oltre a 47 giudici italiani e 156 giudici di diversi Paese europei.
Vista la piega delle cose, viene avanzata, da parte del ministro della Giustizia Clemente Mastella, la proposta di creazione di una commissione parlamentare d’inchiesta sul caso. E’ piuttosto difficile, purtroppo, che vedrà mai la luce. Pollari dichiara di voler raccontare la propria versione dei fatti, ma a suo dire ne è impedito per via del segreto di stato. Il 11 luglio il governo ribadisce che sulla vicenda non è mai stato apposto alcun segreto di stato. Nonostante ciò, il 17 luglio Nicolò Pollari, interrogato dal Copaco, fornisce ben pochi elementi conoscitivi sulla questione. Anzi, riesce persino a mentire asserendo che l’ufficio, illegale, era attivo solo dal 2004. Invece era attivo subito dopo il suo arrivo, dal 2001.
E cosa ne dice della questione il cav. Silvio Berlusconi? “Non sapevo nulla, ma i dossier sequestrati non hanno nulla di illecito”. Una dichiarazione che non poteva essere diversa: lui non sa mai niente! Lui è sempre all’oscuro di tutto! Peccato che i magistrati non la pensino proprio cosi, ma lo sappiamo, i magistrati… Ma tant’è, non c’è proprio da stupirsi. Quelli hanno deciso di controllare i suoi “nemici” solo per uno smisurato amore verso la sua persona, senza mai dirgli niente, facendo tutto da soli. Cerchiamo di essere seri!
Dal 21 novembre 2006 è direttore del Sismi l’ammiraglio Bruno Branciforte. Il generale Pollari il 25 gennaio 2007 è stato nominato dal governo Consigliere di Stato a Palazzo Chigi (incarico ricoperto a partire dal 9 febbraio), con il conferimento di un importante incarico speciale alle dirette dipendenze del presidente del Consiglio. A prima vista sembra una decisione piuttosto scema ma, a pensarci bene, proprio scema non lo è. Dove mandare uno che potrebbe nuovamente fare i propri maneggi? Non certamente a qualche altro incarico non controllato. Allora bene ha fatto Romano Prodi a prenderselo vicino, cosi da poterlo controllare.
Il 1° agosto 2007 è approvata dalla commissione Affari costituzionali del Senato la nuova riforma dei servizi segreti. La riforma definisce le nuove norme da applicarsi all’operato degli agenti segreti, garantisce nuovi poteri al Copaco, che ha la facoltà di abolire il segreto di Stato, cambia la voce “servizio” con quella di “agenzia”, sostituendo i nomi identificati di Sismi, Sisde e Cesis con “Agenzia informazioni e sicurezza esterna”, Aise, “Agenzia informazioni e sicurezza interna”, Aisi, e “Dipartimento delle informazioni per la sicurezza”, Dis. A questo punto non resta che sperare che sia la volta buona che i servizi segreti siano davvero al servizio dello Stato, e non contro lo Stato e a favore di qualcuno. La storia delle Repubblica italiana è costellata dalle imprese infelici dei nostri servizi, più occupati in qualche interesse particolare, che non a difendere l’Italia. Questi comportamenti poco “consomi” sono arrivati fino al 2006, dove abbiamo visto dove si può arrivare nell’interesse di qualcuno.
Abbiamo lasciato per ultimo la questione delle elezioni politiche del 9 e 10 aprile 2006. L’Unione ha vinto alla Camera per meno di 25 mila voti, e al Senato grazie agli elettori esteri. Il cav. Silvio Berlusconi ha subito gridato ai brogli, e continuerà a gridarlo per diverso tempo. Diciamo subito che per lo strano senso di democrazia che alberga in lui, per il cav. Silvio Berlusconi la vittoria è sempre sua, la sconfitta è sempre colpa dei brogli altrui. Il cavaliere è talmente ossessionato dai brogli (altrui) da formare l’esercito del “Legionari azzurri”, un esercito di 121 mila militanti di Forza Italia. Con quale compito? Presidiare i seggi con in tasca un librettino di otto pagine intitolato: “I difensori del voto”. Già, perché la sinistra ha i “professionisti” dei brogli, mentre loro, per forza di cose, sono gli “ingenui”. Sarà per il fatto che sono tanto ingenui che i legionari azzurri sono coordinati dall’avvocato Cesare Previti, che certamente non si può certo definire ingenuo (vedi
La nuova legge elettorale, definita da uno dei suoi stessi autori, il leghista Calderoli, “una porcata”, e perciò portata avanti come “porcellum”, viene approvata il 14 dicembre 2005. Da annotare solo la dichiarazione del cav. Silvio Berlusconi nell’occasione: “Finalmente una legge democratica”. Sicuro: una “porcata” democratica. Il 29 dicembre viene approvato il decreto legge che prevede, proposto dal ministro per le innovazioni Lucio Stanca, l’utilizzo del voto, pardon, scrutinio elettronico su circa 12 mila seggi. Altri decreti inerenti il 3 gennaio 2006 e il 23 gennaio (2 nello stesso giorno). Per la nomina degli operatori informatici i decreti del 21 e 29 marzo e, persino, del 10 aprile 2006 (per l’integrazione degli elenchi).
Quali sono le aziende alle quali è stato assegnato, a vario titolo, il servizio del voto automatizzato? Telecom Italia, che gestisce la fetta maggiore del budget, fa da capocommessa e fornisce le linee per la trasmissione, come pure tutto l’hardweare; Eds, multinazionale Usa, che ha sviluppato il software e coordina gli operatori; l’Accenture, la più grande azienda di consulenza al mondo; infine l’Adecco, multinazione che, tramite una sua azienda, l’Ajjlon, provvede a fornire i 18 mila operatori informatici. Vedremo dopo di spiegare chi sono i partners del governo Berlusconi.
Diciamo subito che non vi è stato trattativa pubblica. L’assegnazione è avvenuta tramite trattativa privata, con le aziende scelte dal governo e dal ministro dell’Interno Pisanu. L’ineffabile ministro per l’Innovazione Lucio Stanca ha fatto in merito questa dichiarazione: “Il decreto legge n. 1 del
Vediamo ora chi sono le aziende prese dal governo con trattativa privata per “mancanza di tempo”. L’Adecco è una multinazionale del lavoro interinale. Non si può dire che la ditta incaricata,
L’Eds, che ha sviluppato il software, pare che non sia
L’Accenture, abbiamo detto, è la più grande azienda di consulenza mondiale. L’Accenture è, però, il nuovo nome assunto dalla Andersen Consulting dopo essere stata coinvolta nello scandalo Enron. Fattura 14 miliardi di dollari con le commesse del governo di George Bush. Ha sede fiscale nelle Isole Bermuda, ed è notoriamente legata al Partito repubblicano del quale è grande finanziatore. Ovvero: tu mi dai e io ti do. E’ accusata dai democratici americani, e da numerose inchieste di stampa, di aver fornito un database per le liste elettorale delle ultime presidenziali in Florida, dove sta il fratello Jeb, che decisero l’elezione di George Bush. Come si vede anche qui ricadiamo nei brogli americani in favore di Bush. A proposito del database c’è una testimonianza in merito molto interessante data da Clinton Eugene Curtis di fronte alla Commissione Parlamentare di Columbus, Ohio, proprio sulle irregolarità nelle elezioni presidenziali americane del 2004. Non la riportiamo per la lunghezza, ma la testimonianza conferma che con un programmino fatto apposta si può tranquillamente falsare qualunque elezione. Tra l’altro, uno dei dirigenti della Accenture Italia, che è ovviamente quella che fa il lavoro, si chiama Gianmario Pisanu, che altri non è che il figlio del ministro dell’Interno, quello che si occupa proprio delle elezioni, Giuseppe Pisanu. Questo si chiamerebbe conflitto di interessi.
Quanto alla Telecom ne abbiamo parlato diffusamente poco sopra. Ed infatti è proprio “quella” Telecom che fa da capocommessa nella gestione dello scrutinio automatizzato. Ma è ancora più interessante sapere chi si occupa direttamente dei lavori: Giuliano Tavaroli, Emanuele Cipriani e Marco Mancini, noti come esperti nella fabbricazione di falsi. Aggiungiamo, inoltre, che dagli Usa è arrivato a dare una mano al cav. Silvio Berlusconi come consigliere elettorale Karl Rove, prestato gentilmente da George Bush, dato che Rove è il consigliere elettore suo. Una presenza nefasta.
Veniamo ai sondaggi. Tutti i sondaggi effettuati, per legge, fino a 15 giorni prima delle elezioni erano concordi: vantaggio per l’Unione di 4-5 punti sul Polo. I bookmaker inglesi, che non hanno quei limiti, davano il centrodestra a 4-5, mentre il centrosinistra era dato praticamente alla pari. Per essere più chiari, con una vittoria del centrosinistra si recurerebbe solo quanto speso, mentre una vittoria del centrodestra farebbe guadagnare 4, 5 volte la posta. I primi exit poll della Nexus erano ancora meglio per il centrosinistra: forbici di 8-9-10 punti di vantaggio sul centrodestra. Dati che venivano confermati con gli exit pool sui voti effettivi.
Ad un certo punto succedono alcune cose strane. Tra le 17 e le 18,30 del 10 aprile 2006 c’è una inspiegabile ed incredibile assenza di dati. C’è da dire che trattandosi solo di mettere un voto sulla scheda, senza avere il problema dei voti individuali (lo scherzo della legge porcata: non si elegge nessuno, passano, secondo la percentuale partitica i candidati messi in lista dai partiti stessi), dovrebbe rendere lo scrutinio molto veloce. Questo viene affermato pure da Pisanu un po’ troppo impunemente, visto che in effetti lo scrutinio si protrae incredibilmente fino nella notte, al mattino dell’11. A metà pomeriggio del 10, quando l’Unione è sempre in netto vantaggio, Cicchitto di Forza Italia afferma a Rai3: “L’Italia è spaccata a metà”. Il leghista Castelli dice la stessa cosa al Tg4 alle 18,25. Hanno la palla di vetro?
Alle 19,06, per il Senato
Quella che è successo è chiaramente mostrato dai grafici pubblicati sull’andamento delle elezioni dai dati ufficiali del Viminale. Il grafico del Senato mostra che dopo 2100 sezioni l’Unione è in vantaggio di 10 punti. Da quel momento le linee cominciano a scendere, per l’Unione, e a salire, per il Polo. Ma è l’anomalia della discesa/salita a saltare agli occhi: praticamente lineare, senza sbalzi che sarebbero logici, fino a che le linee si vanno a incrociare. Camera: 8 punti di vantaggio per l’Unione e andamento praticamente uguale al Senato, con le linee che arrivano quasi a toccarsi. Totalmente illogico, improbabile, per non dire impossibile.
E nella notte cosa succede? Mentre i dati che arrivano sembrano andare verso la parità tra le parti, l’ineffabile ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu, che già si era offeso quando gli avevano fatto notare che c’era il figlio in una società che lo stesso governo aveva scelto, anziché stare al Viminale a vigilare sul voto, passa la notte nell’andare e venire dal suo sommo capo, il cav. Berlusconi. Per cosa non si sa, probabilmente perché il cavaliere voleva essere “informato”. Quando nella trasmissione “Che tempo che fa” il conduttore Fabio Fazio gli chiederà il perché di questo atteggiamento, riuscirà a dire, con la massima naturalezza, che era una cosa normale. Peccato che una cosa simile, un ministro dell’Interno che va a rapporto del suo presidente del consiglio durante le operazioni di voto, non si era proprio mai vista.
Sempre nella notte arriva una dichiarazione strana. Mentre ancora mancano all’appello i dati di alcune provincie e sezioni regionali, alle 2,45 Piero Fassino scende, con una faccia molto tesa, tra i giornalisti, annunciando che l’Unione ha vinto, sia al Senato che alla Camera. Una dichiarazione che sorprende molti, in particolare proprio nel centrosinistra. Si mormora che il comunicato sia stato fatto per far sapere qualcosa a qualcuno, per fermare qualcuno. In quel momento il vantaggio per l’Unione alla Camera è ridotto a soli 13 mila voti. Sarà o non sarà, ma si dà il caso che proprio da quel momento i voti per il centrosinistra riprendono a salire, fino ad arrivare a poco più di 25 mila. Alle 3,17 il Viminale annuncia che l’Ulivo ha vinto alla Camera per 25.224 voti. Aggiungiamoci un’altra voce corsa. Si dice che Pisanu sia stato pesantemente insultato dal cav. Berlusconi e dal suo più ristretto clan per quanto stava succedendo. Qualcosa vorrà pur dire.
Uno dei dati più interessanti è quello sui voti non validi. Per questi sono da intendere sia le schede nulle, sia le schede bianche. Le schede nulle sono diminuite del 44,20%. passando a 710.260 contro 1.272.915 del 2001. Si potrebbe dire che il fatto di votare solo il simbolo dovrebbe aver semplificato il voto. Ma il dato più sorprendente sono le schede bianche, calate nientemeno del 74,20%, passando da 1.707.269 del
A proposito di computer, alcuni, seguendo in diretta i dati del Viminale il 10 su internet, hanno notato un fatto strano (come se fatti strani non ce ne siano già stati). Ogni volta che c’era un aggiornamento, circa ogni 10 minuti, a parte la fermata inesplicabile, il dato veniva corretto dopo pochissimi secondi, aumentando leggermente i voti al Polo. Ecco come: se l’aggiornamento passava da 16.500.000 voti a 17.100.000 per l’Unione, e da
Qualcun altro ha prospettato un’altra ipotesi. In questo caso non solo il programmino accennato potrebbe entrare in campo, ma il trio della Telecom. Si presuppone una commissione elettorale parallela. Al ministero i dati vengono convogliati su dei computer che li assemblano e li elaborano. Se l’ipotetica commissione segreta ha accesso a quei dati li può correggere come vuole, basta avere un programmino che operi come segue: se il dato della Casa delle Libertà scende sotto quello dell’Unione si inverte il risultato con le schede bianche, aumentando il dato di Forza Italia. Gli operatori ufficiali che trattano solo i dati parziali non hanno mai la completezza dei dati. Allo stesso modo, se trattano i dati totali non devono controllare i dati parziali. Qualcosa, però, e qui andiamo a quello già detto prima, deve essere andato male. O qualcuno si è tirato indietro, oppure il sistema era concepito per l’emergenza, scattata solo dopo aver visto il nettissimo vantaggio dell’Unione. A meno che non si sia pensato che il voto estero, non controllato, sarebbe andato a favore del Polo. Cosa non avvenuta, anzi, avvenuta al contrario. Ipotesi fantasiosa? Anche, però…
Collegato a quanto, c’è una testimonianza su “Liberazione” del 14/4/2006 di Luigi Crespi, ex sondaggista di Silvio Berlusconi, autore del famoso contratto con gli italiani ad uso dei polli, caduto in disgrazia con l’ex capo e coinvolto in un processo per bancarotta fraudolenta. Crespi vede una impressionante differenza tra i sondaggi e i risultati circa le preferenze dei Ds, dati al 20-21%, e invece crollati al 17,5%. Crespi nota questa anomalia, ma non si accorge di un’altra anomalia contrapposta. Forza Italia veniva data al 20-21%, invece ha preso il 23,7%.. Curiosamente, notiamo, la differenza tra i sondaggi e il dato reale tra i due parti è praticamente la stessa percentuale, che scende nei Ds e sale per Forza Italia. Crespi, comunque, non vuole pensare che ci siano stati brogli, ma ripete più volte che le cose non quadrano, e fa una affermazione sul Viminale: “ La notte del 10 ad un certo punto il numero totale dei seggi italiani forniti dal Viminale erano 8 di meno. Poi, dopo qualche minuto, sono tornati quelli di prima. Significa che quel sistema era accessibile”. Alla domanda se ritiene che ci possa essere stato un piccolo errore umano risponde: “Non lo so, dico solo che sono successe tante cose strane, quella notte”. Detto da uno che delle cose si intende queste, specie la prima, sono affermazioni molto gravi.
Per ultimo un fatterello particolare su come si è gestita tutta l’operazione delle elezioni del 9 e 10 aprile 2006. L’11 aprile il presidente Ciampi, che deve aver parlato con Pisanu, esce con un comunicato in cui si complimenta con tutti gli italiani “per la correttezza e la regolarità del voto”. Nonostante questo, il cav. Silvio Berlusconi continua a parlare di brogli e tira fuori che ci sono 48 mila schede contestate e non assegnate. Dato il numero, potrebbero ancora dare la vittoria al Polo. Quello che dovrebbe parlare, dire qualcosa in merito, Pisanu, tace. Pisanu tace dalla notte dello spoglio (ma con il cavaliere ha certamente parlato). Solo dopo tre giorni, il 14, il ministero dell’Interno rilascia un comunicato dove afferma che c’è stato “un errore materiale che, per alcune province, ha portato a sommare le schede contestate vere e proprie con le schede nulle o bianche”.. A fronte di ciò le schede contestate si riducono da
A questo punto sarebbe da chiedersi: prove? Certamente nessuna. Enrico Deaglio è stato denunciato dalla magistratura per diffusione di notizie false. A parte che bisognava avere prove, ma perché quei magistrati non hanno denunciato anche il cav. Silvio Berlusconi con le stesse accuse? Indizi? Tanti, tantissimi. E’ vero, un indizio non è una prova, ma come ha detto proprio qualcuno del Polo, tanti indizi fanno una prova. Del resto, le stranezze di quanto sopra,
In conclusione siamo dell’opinione che quanto esposto, anche lungamente pur se sintetizzato, che il cav. Silvio Berlusconi non è un imprenditore, non è un industriale. Il cav. Berlusconi è solo un affarista, un avventuriero che ha sempre avuto bisogno di qualcuno che gli desse una manina. E quando questi qualcuno sono mancati (ma siamo davvero sicuri di ciò?) ha pensato bene di farsi gli affari propri entrando in politica, altrimenti, ammesso da lui stesso, sarebbe stato rovinato. Questa storia manca ancora di tanti altri particolari molto importanti ma, come si dice, questa è un’altra storia.
Però non si può fare a meno di finire con una domanda. La destra ha sprecato tempo e denaro pubblico per commissioni messe in piedi solo attaccare i rivali del centrosinistra, spargendo solo ed esclusivamente menzogne. Perché nessuno si prende la briga, anche bipartisan, da destra e da sinistra, di mettere in piedi una commissione che abbia lo scopo di sapere dove ha preso, o chi ha fornito tutti quei i soldi a Silvio Berlusconi? Sarebbero soldi spesi veramente bene!
Per quanto scritto, reperito da ricerche su internet, si ringrazia in modo particolare gli autori del libro “Gli affari del Presidente” Giovanni Ruggeri (purtroppo scomparso nel 2006) e Mario Guarino; Max Parisi e
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